Cronaca

Omicidio Mastropietro, oggi l’Appello. Oseghale: «Non ho ucciso Pamela»

Il nigeriano, detenuto nel carcere di Forlì, ha scritto una lettera che leggerà questa mattina nell'aula del tribunale di Ancona. I legali della difesa chiederanno un'ulteriore perizia

MACERATA – Si aprirà questa mattina nel il processo di secondo grado a carico di Innocent Oseghale, il nigeriano 32enne accusato di aver ucciso e violentato la 18enne romana Pamela Mastropietro il 30 gennaio 2018 a Macerata.

Condannato in primo grado (per omicidio volontario, violenza sessuale, vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere, ndr) all’ergastolo con 18 mesi di isolamento diurno, questa mattina il nigeriano dovrebbe rendere dichiarazioni spontanee davanti ai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Ancona. Da quanto si apprende non dovrebbe parlare “a braccio”, ma leggere una lettera scritta venerdì scorso nella sua cella nel carcere di Forlì. «Dr Judge, thank you once again for this second opportunity», inizia così la lettera tutta in inglese, con un ringraziamento ai giudici per avergli concesso questa seconda opportunità e prosegue con una richiesta di scuse ai familiari di Pamela, ma, scrive: «I didn’t kill Pamela», “non ho ucciso Pamela”. «Lei – continua Oseghale – è morta nella mia casa dopo aver preso l’eroina». La difesa, sostenuta dagli avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, ha sempre sostenuto che la giovane sia morta a causa di un’overdose di eroina iniettata per la prima volta in vena (da quel che si era appreso, Pamela la fumava, ndr) dopo la sua permanenza alla comunità Pars di Corridonia dove era in cura per doppia diagnosi dal 18 ottobre 2017 e da dove era fuggita il giorno prima della morte.

L’avvocato Simone Matraxia

Nella lettera, Oseghale ammette quello che ha sostenuto anche in primo grado, di aver depezzato il cadavere di Pamela per trasportarla fuori dalla propria abitazione senza essere visto: «I cut the dead body, to carry it out of my house», ma non spiega perché abbia anche dissanguato il corpo e abbia lavato le parti, soprattutto quelle intime, con la varechina. «I want to pay for the crime I commit but noth the crime I dindn’t commit», “Voglio pagare per un crimine che ho commesso non per un crimine che non ho commesso». Nega l’omicidio, così come nega la violenza sessuale. «Lei voleva fare sesso con me come ha fatto con altri ragazzi», scrive e aggiunge: «So di aver fatto qualcosa di veramente cattivo, ma non ho ucciso Pamela». Poi chiede di essere giudicato «senza pregiudizi».

Nella requisitoria del processo di primo grado, il procuratore capo Giovanni Giorgio, aveva definito il nigeriano un «acrobata della menzogna». Ieri l’avvocato Marco Valerio Verni, zio di Pamela e legale dei familiari della ragazzina, sulle dichiarazioni che Oseghale farà oggi in aula ha spiegato: «Non abbiamo nulla da dire, anche perché abbiamo ormai visto tutti di quanto le stesse – quelle fatte in passato – siano state inattendibili e del tutto pretestuose. A meno che non voglia confessare chi fosse con lui in quell’appartamento».

L’avvocato Marco Valerio Verni

Oggi gli avvocati della difesa rinnoveranno la richiesta di nuovi accertamenti medico-legali sulle cause della morte (i legali hanno sempre sostenuto che, in base a quanto evidenziato dai propri consulenti di parte, le due ferite all’altezza del fegato fossero compatibili con i tagli effettuati durante lo smembramento del cadavere). Su questo punto l’avvocato Verni ha invece dichiarato che non ci sarebbe alcuna necessità di effettuare un’ulteriore perizia: «Non vi è alcun motivo di una super perizia. Le consulenze esperite hanno chiaramente dimostrato che Pamela sia morta per le due coltellate infertele da Oseghale e che non vi sia stata alcuna overdose. Chiederò conferma della sentenza di primo grado, naturalmente». Sempre ieri Marco Valerio Verni ha pubblicato sul proprio profilo Facebook un post rivolto al Presidente della Repubblica: «Il presidente Mattarella si dice sconvolto dall’uccisione di Willy. Ha ragione, lo siamo tutti. Devo desumere, però, che, non essendosi pronunciato al riguardo, non lo sia stato per quella di Pamela. Se qualcuno di voi ha notizia di sue dichiarazioni al riguardo, me le segnali, per cortesia».

Oggi prende il via, dunque, il processo d’Appello su cui incombe come una spada di Damocle, il recente orientamento dei giudici delle Sezioni Unite sulla questione delle notifiche al detenuto che ha eletto domicilio presso il proprio avvocato di fiducia. In base all’orientamento delle Sezioni Unite le notifiche devono essere effettuate esclusivamente al detenuto e questo potrebbe avere effetti nel processo per l’omicidio di Pamela. Nel corso delle indagini, infatti, le notifiche relative agli accertamenti irripetibili utilizzati per l’autopsia erano state effettuate all’allora avvocato di fiducia di Oseghale e non al nigeriano, questo comporterebbe l’inutilizzabilità degli accertamenti autoptici su cui si fonda, in gran parte, la pronuncia di condanna per l’omicidio.

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