Un mercato del lavoro che negli anni è cambiato, diventando sempre più precario e a rischio, il tempo libero che ha assunto una maggiore centralità nella vita personale rispetto alla realizzazione professionale, sono alcuni degli elementi che possono spiegare la nuova percezione dei giovani nei confronti del posto fisso. Il sociologo dei processi economici dell’Università Politecnica delle Marche, Francesco Orazi, parla di un mutato modello di «organizzazione dei tempi sociali, tra tempi di lavoro, tempi liberati dal lavoro e tempi liberi dal lavoro».
Un «processo sociale di lungo corso, – spiega – che già negli anni ’60 veniva posto dai sociologi come Dumazedier, che mette in evidenza quanto, da un lato l’innovazione tecnologica e dall’altro una certa frammentazione del lavoro e una dequalificazione del lavoro, abbiano nel tempo prodotto una situazione per la quale il lavoro ha perso molto della sua capacità di costruzione dell’identità dell’individuo e anche molto della sua funzione realizzativa».
Secondo l’esperto, infatti, «il tempo libero, dedicato a sé stessi, ha sempre di più guadagnato spazio rispetto al tempo di lavoro, nell’arco degli ultimi decenni, anche in termini di importanza. Il tempo libero oggi è considerato un aspetto molto rilevante nella traiettoria esistenziale di un individuo», un discorso valido, specie per quanto riguarda le attività lavorative contrassegnate da «ripetitività, scarso interesse, scarsa qualificazione, il lavoro per l’appunto diventa semplicemente uno strumento utile per ottenere un reddito, da spendere sia per i bisogni primaria, anche per costruirsi momenti sociali nel tempo libero, come sport, attività ricreative».
Per Orazi si tratta più di un problema strutturale che non riguarda solo i giovani ma che, per quanto riguarda i giovani, non è tanto la fine del mito del posto fisso, quanto che «stanno finendo i posti fissi. Oggi la formazione del carattere dei giovani avviene in un ambiente socioculturale dove l’aspetto culturale ed estetico è enormemente rilevante».
A tal proposito l’esperto cita come esempio il termine «’brand’ utilizzato normalmente nel gergo giovanile non per indicare il marchio di una merce, ma piuttosto il loro modo di presentarsi, di brandizzarsi agli altri attraverso i social. Certamente c’è da parte dei giovani una centralità del tempo libero come momento della costruzione della loro identità, ma non lasciano il posto fisso, hanno di fronte un mercato del lavoro sempre più precario e più a rischio, anche a causa delle tecnologie».
Il riferimento va alle parole di Papa Leone XIV, che in uno dei suoi primi discorsi pubblici «ha ricordato quanto, ad esempio, le intelligenze artificiali rischiano di essere un potente fattore sostitutivo di lavoro umano. Oggi i giovani sono sotto pressione e a rischio nel mondo del lavoro, perché gli scenari dell’immediato futuro sono ancora inesplorati, anche per quanto riguarda l’impatto dell’intelligenza artificiale nel lavoro, sia in termini sostitutivi che accrescitivi. Certamente trasformerà i meccanismi relazionali quotidiani e i rapporti di forza nella sfera produttiva».
L’intelligenza artificiale da un lato può fare da traino all’economia, spiega, ma dall’altro «può rimpiazzare vecchie occupazioni che prima erano espletati da lavoratori. Difficile prevedere l’impatto futuro, ma temo che le digital technologies possano causare un grande spiazzamento nel mercato del lavoro» conclude.