URBINO – Entrare nel mondo di Federico da Montefeltro, nel suo luogo più intimo: lo studiolo di palazzo ducale.
Ad accoglierci una luce naturale ottenuta con un impianto illuminotecnico che simula quella che arrivava dalla finestra nel ‘400. È il sole caldo tra le 11 e mezzogiorno che rischiara le tarsie e gli uomini illustri.

Significa entrare in un’altra dimensione spazio temporale. È tornato visibile lo studiolo, dallo scorso 4 novembre interessato da interventi conservativi, finanziati con i fondi PNRR allocati dal Ministero della Cultura.
Una operazione delicata, quanto impegnativa operazione comprendente interventi di restauro e un generale riallestimento dell’ambiente al fine di restituire l’aspetto omogeneo originario dell’opera, ricucendo il rapporto tra i ritratti degli uomini famosi che l’hanno sempre caratterizzato e le pareti lignee, eliminando le superfetazioni ottocentesche, riportando quanto più possibile i colori originali della stanza, che adesso si presenta in maniera diversa perché, insieme ai 14 ritratti di uomini famosi originali, da ora in poi ospita anche le riproduzioni hi-tech degli altri 14 che attualmente si trovano al Museo del Louvre.
Infatti grazie a un partenariato con il museo parigino che ha messo a disposizione le fotografie in alta risoluzione delle opere mancanti (stampate su tavola), è stato possibile ricostruire l’aspetto originale dello Studiolo del Duca, così come Federico da Montefeltro l’aveva concepito, prima degli interventi dei Barberini che ne asportarono alcune parti, alterando per sempre l’unitarietà quattrocentesca.

In soli sei mesi, quindi si è attuato il restauro e il completo riallestimento dello Studiolo così come la restituzione, più approfondita e veramente filologica, di uno dei complessi più importanti dell’architettura del Quattrocento.
«È stato fatto un lavoro di ricerca per molto tempo per riconsiderare le distanze e le sovrapposizioni tra le tarsie e gli uomini illustri; – spiega il direttore Luigi Gallo – questo ci ha permesso di restituire al luogo l’unità di immagine ma anche simbolica perché le tarsie rappresentano gli strumenti dell’umanista e gli uomini sono gli exempla virtutis, così come il soffitto con gli emblemi di Federico rappresenta un ritratto psicologico di intenti di umanista del Duca. Un’unità spezzata nel 1631 quando gli uomini furono segati e dispersi a Palazzo Barberini e poi 14 di loro al Louvre e 14 tornati a Urbino. Questo lavoro restituisce una lettura molto diversa dell’opera».

«La proposta messa in campo per lo studiolo vuole provare a restituire un ambiente unitario – spiega il conservatore Giovanni Russo – ricomponendo lo spazio di meditazione e intimo. Ora lo spettatore può indugiare tra le luci e le penombre e immergersi in questa realtà. Abbiamo cercato di riportare tutto questo nella carne viva della muratura del palazzo e riconfigurare questo spazio. Il visitatore può spendere del tempo per indugiare e riflettere su cosa sia stato questo luogo così intimo del Duca».
Realizzato dai fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano, con l’apporto di vari artisti “disegnatori” tra cui Botticelli e Francesco di Giorgio Martini, lo Studiolo federiciano fu terminato nel 1476 e non è passato indenne attraverso i secoli. Nel 1632 i dipinti degli Uomini Illustri vennero tagliati, risegati e asportati per volere del cardinal legato Antonio Barberini e solo 14 dei 28 originari sono ritornati ‘al loro posto’ in epoca recente a seguito dell’acquisto da parte dello Stato nel 1934, con destinazione alla Galleria Nazionale delle Marche.

Con questo lotto di lavori, si riconsegnano alla fruizione gli ambienti più significativi del palazzo mentre appaiono, ricollocate nel nuovo allestimento, la maggior parte delle opere iconiche della Galleria Nazionale delle Marche: i due Piero della Francesca, la Città Ideale, Giusto di Gand, Pedro Berruguete e Paolo Uccello.