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Dante e le Marche, un lungo cammino al fianco del sommo poeta con la guida del professor Luca Di Dio

Sono ben 39 i comuni della regione legati al vate, luoghi citati direttamente nelle sue opere o con un legame indiretto o di rilevanza dantesca

Il professor Luca Di Dio
Il professor Luca Di Dio

Il 25 marzo si celebra il Dantedì, la Giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri. La data è quella che gli studiosi riconoscono come inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia, e sarà l’occasione per ricordare in tutta Italia e nel mondo il genio di Dante, con tante iniziative, anche on line, organizzate dalle scuole, dagli studenti e dalle istituzioni culturali. L’edizione del 2021 è anche più significativa perché avviene nel settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta.

In occasione di questo evento, i Club Rotary di Osimo, Loreto e Jesi hanno organizzato online un incontro con il professor Luca Di Dio, intorno al tema: “Dante e le Marche Da  Paolo e Francesca al Montefeltro, da Oderisi da Gubbio a Fonte Avellana, dal Veltro a Camerino: un viaggio nella Regione Marche attraverso incontri e paesaggi indimenticabili della Commedia dantesca”. L’evento sarà venerdì 19 marzo ore 21,15.

Docente di materie letterarie presso l’Istituto Comprensivo “E.Mattei” di Matelica, il professor Di Dio è autore di diverse pubblicazioni (tra cui Dante e le Marche, Senti che Storia!, Caravaggio l’ombra e la luce) e si occupa di percorsi didattici volti alla conoscenza e alla diffusione di tematiche culturali attraverso conferenze svolte presso scuole e istituzioni in Italia e all’estero. Collabora con l’Università Ca’ Foscari di Venezia dove ha conseguito la certificazione CEDILS, il Master Itals (Didattica e promozione della lingua e cultura italiana a stranieri) e il dottorato di ricerca presso il dipartimento di Scienze del Linguaggio.

Da molti anni, in vari Paesi, in università e istituzioni culturali, Luca Di Dio ama raccontare le Marche attraverso le parole di Dante Alighieri. Lo ha fatto anche in un cd-rom interattivo del 2005, promosso dalla Società Dante Alighieri e cofinanziato dalla Regione Marche (LabIdee 2005).

Ma davvero, Prof., è possibile tracciare un lungo cammino dal nord al sud della regione, seguendo i versi della Divina Commedia?
«È lunga la storia di un lavoro iniziato oltre 20 anni fa e giunto all’apice – forse anticipando i tempi – con il cd-rom di cui parli… sebbene di tanto in tanto emergono nuovi collegamenti e nuovi “ganci” che permettono una “geografia dantesca” della nostra regione sempre più ricca. Per cui sì, direi assolutamente sì: è possibile tracciare un cammino da nord a sud nelle Marche legate a Dante e non solo nella Divina commedia».

Quante sono le località delle Marche citate da Dante Alighieri, divise per provincia?
«Mamma mia, sembra quasi una domanda da interrogazione – sorride (ndr) -. Ora, se parliamo di citazione “diretta” del nome della città, dovremmo limitarci a Focara (il promontorio a nord di Pesaro), Urbino, Carpegna, Fano (per ben due volte), Senigallia, Urbisaglia e poco altro (come la “fermana” di una famosa canzone del Castra Osimano citata nel De Vulgari Eloquentia o il riferimento all’ermo sotto al monte Catria, evidente riferimento a Santa Croce di Fonte Avellana)… però permettimi di far presente che una chiave di lettura così è appunto un “limite”. Faccio un esempio. Né Gradara, né qualsivoglia perifrasi riferita al suo splendido castello si trovano nelle opere dell’Alighieri. Ma chi negherebbe a quei luoghi la paternità “fisica” dell’episodio più famoso della Commedia, l’amore tragico di Paolo e Francesca? Per cui credo che nella “risposta all’interrogazione” si dovrebbe alzare il tiro».

Geografia dantesca delle Marche nel cd-rom “Dante e le Marche” a cura del prof. Luca Di Dio

Quali, allora, tra le tante località, quelle divenute più famose grazie ai versi danteschi? E quali i personaggi centrali della Divina Commedia, legati alle Marche?
«Diciamo innanzitutto che ciò di cui dovremmo andar fieri è la definizione che del nostro territorio regionale fornisce Dante nel V canto del Purgatorio per bocca di Jacopo del Cassero, “quel paese / che siede tra Romagna e quel di Carlo” [vv. 68/69].
In poco più di un endecasillabo Dante sintetizza in modo unico le Marche, una regione plurale, una regione ricca e variegata in paesaggi, culture, lingue, impossibile da definire; se non come uno splendido “contenitore” che parte dai confini della Romagna e giunge sino al punto in cui “il Tronto in mare sgorga” [v. 63], come cita ancora Dante nell’VIII canto del Paradiso, stavolta tramite Carlo Martello, figlio di Carlo II d’Angio che nel 1300 dominava su tutto il sud dell’Italia.
Da qui in poi ci vorrebbero pagine e pagine per raccontare le “Marche dantesche”. Oltre al già citato V canto di Paolo e Francesca cui è dedicato un lungo episodio che ogni italiano (e non solo) conosce per averlo studiato a scuola; oltre a Fano e Focara, unite nel XXVIII canto dell’Inferno [vv. 76 e 92] nell’episodio raccontato da Pier da Medicina; oltre al XXI canto del Paradiso in cui San Pier Damiani racconta a Dante il suo percorso spirituale che lo portò al “Gibbo che si chiama Catria / di sotto al quale è consecrato un ermo / che suole esser disposto a sola latria” [109-111]; oltre a Urbisaglia e Senigallia citate insieme in rima nel XVI canto del Paradiso [vv. 73-75]; oltre… oltre… oltre… dobbiamo proseguire? Parliamo allora di Cecco d’Ascoli, mai citato da Dante, ma il cui rapporto è indubbio (basta leggersi i versi 4669-4680 de l’Acerba per rendersene conto), parliamo di Fabriano e della sua carta, probabilmente così vicina a Dante da far asserire a più di un dantista che forse è proprio alla carta che l’Alighieri ha affidato le sue terzine nascondendo nell’episodio del Veltro (I canto dell’Inferno) un enigmatico indovinello in cui ne farebbe riferimento. Parliamo della Marchia Anconitana citata nel De Vulgari Eloquentia, parliamo, sempre legate sempre all’episodio di San Pier Damiani, di Portonovo e Loreto, quest’ultimo a partire da un’interpretazione avanzata addirittura da Monaldo Leopardi, papà di Giacomo, che nella “casa di Nostra Donna in sul lito adriano” [Par. XXI, vv. 122-123] non ha potuto non vedere un riferimento chiaro al santuario mariano (ovviamente non nella struttura che visitiamo oggi) che diffondeva la sua fama proprio negli anni in cui Dante componeva la terza cantica. Ma credo, per rispetto del lettore, sia opportuno fermarmi, giusto?»

Jesi ha un doppio legame con la Commedia di Dante Alighieri, puoi dirci quale?
«Inutile dire che ovvio è il primo, con Federico II e i suoi natali citati – ovviamente senza indicare il luogo – nel III canto del Paradiso [vv. 119-120] dove Dante incontra la madre, Costanza d’Altavilla “che del secondo vento di Soave / generò ’l terzo e l’ultima possanza”.
Ma non è secondario – a mio giudizio – ricordare che è oramai accettata la paternità jesina dell’edizione della Divina Commedia stampata dal maestro Federico de Comitibus da Verona il 18 luglio 1472, pochi mesi dopo l’editio princeps folignate».

Nella sua opera, Dante Alighieri sembra conoscere molto bene le Marche e non solo dal punto di vista geografico, ma anche da quello politico. È verosimile che vi abbia viaggiato? E in che circostanze?
«L’episodio di Angiolello da Carignano e Guido del Cassero, rispettivamente capo dei ghibellini e dei guelfi fanesi, così come l’ancor più affascinante episodio dei Montefeltro, padre e figlio, che tra Inferno e Purgatorio costruiscono un dialogo indiretto potentissimo, ci rivelano senza ombra di dubbio una conoscenza accurata di Dante delle vicende politiche del nostro territorio a cavallo tra XIII e XIV secolo. Oltre alla probabilissima presenza nel Montefeltro ci sono tante tracce che lascerebbero intendere una presenza di Dante in alcuni periodi dell’esilio durante i quali non abbiamo certezza della sua ‘posizione’».

‘Dante e il suo Poema’ di Domenico da Michelino del 1465 nel Duomo di Firenze

Perché ancora oggi la Divina Commedia è così ‘pop’, parte integrante di una cultura che è insieme alta e popolare?
«Credo che sia perché la Commedia nasce ‘pop’-olare, nasce come opera dalla gente e per la gente, a partire dalla lingua: il volgare e non il latino (e sì che Dante lo conosceva e pur bene!). Se è vero che Dante ha origini gentilizie, della piccola nobiltà fiorentina, è altrettanto vero che le vicende tragiche dell’esilio e il perdere tutto lo hanno portato a vivere in mezzo alla vicende di tutta Italia, con uno sguardo distaccato e una progressiva maturità che – da subito – ha lasciato intendere che nel suo scrivere ci sia un non so che di… divino».

Tu sei anche un formatore ed un insegnante. Cosa piace di più ai ragazzi della Divina Commedia?
«Uno dei miei maestri, il professor Paolo Balboni, dice che nella letteratura i ragazzi trovano le parole di chi si è posto gli stessi problemi su cui si interrogano loro: e non si sentono più soli a discutere di guerra e pace, amicizia e amore, dio e demonio. E proprio l’umanità di Dante, una figura a tutto tondo, è in grado di far concretamente vivere ai giovani lettori momenti “infernali”, ma anche “paradisiaci”. Occorre accompagnare i ragazzi ad entrare insieme nella selva oscura con la certezza che camminando insieme ad una guida non solo si può uscire a rivedere le stelle, ma si può arrivare fino ad abbracciarlo… quell’Amor che move il sole e l’altre stelle».

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