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Rugby Jesi ’70, la grinta di Federico Sandroni: «Tornare al 100%!»

Parla la terza linea: «Che bello ritrovare il prepartita, il fischio d’inizio, il primo impatto e andare a terra. Ti accorgi di quanto questo sport sia una parte integrante della tua vita»

Federico Sandroni in azione

JESI – «Ritrovare la concentrazione, le sensazioni del prepartita, il secondo prima del fischio d’inizio. E poi il primo impatto, l’andare a terra. Ci mancava da tanto, da troppo. Davvero ti accorgi di quanto questo sport sia diventato una parte integrante della tua vita». Parola di Federico Sandroni, terza linea, giovane ma già veterano della Seniores del Rugby Jesi ’70. Una prima squadra che ha finalmente potuto ritrovare il campo dopo il lungo stop, sia pur in amichevole a San Benedetto. «Ed è stato proprio un bell’effetto- dice Sandroni- veramente piacevole. Speriamo ci sia da qui la possibilità di ripartire e riprendere il percorso che tutto quello che è successo, purtroppo, ha interrotto».

Federico Sandroni in azione

Spiega Sandroni: «Siamo tornati a giocare con tanti nuovi e giovani innesti rispetto al gruppo consueto. Il futuro? Dei più grandi, spero non siano in tanti a smettere fra lavoro e motivi di famiglia, anche perché in questi mesi ci sono state parecchie nascite! C’è da capire: in pratica con questo lockdown io ho smesso di giocare a 24 anni e sto riprendendo a 26. Tanto più per chi è più grande di me e sopra i 30, come tanti nel gruppo dei “vecchi” della squadra, può non essere semplice. Poi ci sono questi classe 2002 e 2003 che stanno salendo per la prima volta. Certo, in prima squadra cambia molto: la vita, perché spesso si passa dalla scuola al lavoro, l’impegno richiesto, gli orari degli allenamenti. Ma sono bravi: ascoltano, si allenano con serietà, fanno quello che devono. Per la società sono una grossa speranza. E per fare esperienza avranno il tempo che serve, dato che il prossimo sarà comunque un campionato di ripartenza un po’ per tutti, senza retrocessioni».

Inevitabile che ci sia tanto da riprogrammare. «Un vero peccato. Eravamo in crescita, la società aveva l’obiettivo ambizioso di provare a lottare per salire in Serie A, era stato fatto quello che serviva e c’erano tutti i presupposti per ottenere qualcosa di importante. Ma è accaduto tutto quello che è accaduto e i programmi ora sono cambiati. Speriamo di essere in tanti a tenere duro, in questi mesi noi siamo comunque stati fortunati: abbiamo una società che ha continuato a starci vicina e a permetterci di fare attività, mentre per tante altre la pandemia e il lockdown sono stati un colpo che le ha messe in ginocchio».

C’è la voglia di non mollare. «Gioco da quando avevo 12 anni, sempre a Jesi. Francesco Possedoni è stato il mio primo allenatore. Sento addosso il senso del gruppo, la passione, la volontà di riprendere a giocare. Appena abbiamo ripreso ad allenarci, anche senza contatto, il paradenti era sempre lì, pronto dentro al calzettone. E subito, quando è stato possibile, l’ho tirato fuori, perché c’è poco da fare, questo è il nostro sport e non altro: giocare al massimo, “fare a botte” se serve, tornare al 100% o per niente. Ma sto vedendo anche volti che ritornano dopo qualche anno e mi fa sperare».

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