Senigallia

«Il nuovo orizzonte è la scuola della cura»: intervista a Luigina Mortari, presidente di Indire

Alla guida dell'organo del Ministero dell'Istruzione che si occupa di documentazione, innovazione e ricerca educativa, la docente esprime il desiderio di una scuola «che non si occupi solo di riempire i giovani di contenuti ma che pensi al loro benessere»

Luigina Mortari
Luigina Mortari

SENIGALLIA – La scuola può cambiare, la scuola deve cambiare, per tornare a essere un agente educante e non solo un edificio in cui si imparano nozioni. Lo ha sostenuto la professoressa Luigina Mortari, la presidente dell’Indire, l’organo del Ministero dell’istruzione, che è intervenuta nei giorni scorsi al teatro La Fenice all’incontro sul tema “Una scuola che ha cura” promosso dall’istituto comprensivo Senigallia Centro-Fagnani. Docente presso l’Università di Verona, Luigina Mortari ha prodotto numerosissimi contributi nel campo della filosofia dell’educazione e della formazione dei docenti. Il suo ultimo libro si intitola “La politica della cura. Prendere a cuore la vita” (Raffaello Cortina ed., 2021). Lo scorso anno è stata nominata alla guida dell’istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (Indire). Ne abbiamo approfittato per farle qualche domanda.

Cosa vuol dire “Una scuola che ha cura”?
«Vuol dire che la società, tramite l’istituzione scolastica, ha a cuore gli studenti, il loro percorso e il loro futuro perché l’istruzione non diventi solo una questione di curricula, ma favorisca lo sviluppo delle giovani e giovanissime persone in tutti gli aspetti della vita. Parlo della sfera cognitiva, affettiva, esperienziale, anche politica».

E perché si pone come approccio innovativo rispetto al sistema attuale?
«Questo dovrebbe essere secondo me il paradigma dell’agire educativo, molto diverso da quell’ottica aziendalista che ha preso piede nella scuola. Gli studenti sono visti come giovani a cui fornire un’istruzione finalizzata a farli entrare in qualche realtà produttiva mentre la scuola della cura cerca di educare, di dare nutrimento, di coltivare il benessere dei ragazzi, fin da bambini, ponendo tutto il resto in secondo piano». 

Non si rischia di fornire poche competenze utili per affrontare il successivo periodo di vita dei giovani?
«Secondo me, no: significa staccarsi dai modelli d’istruzione imposti dalla società, dalle logge preponderanti per dare spazio a modelli educativi che definire innovativi sarebbe un torto alla tradizione classica, fin dai greci».

Se la diffusione della cultura fosse legata anche all’affettività, al benessere dei giovani, di certo ci sarebbero più persone consapevoli, secondo Mortari, più sviluppate e, probabilmente, anche più realizzate, a livello umano, «perché c’è stata l’opportunità di coltivare l’anima. L’opportunità può essere data anche attraverso percorsi nuovi all’interno del modello scolastico tradizionale, come può essere una lezione svolta all’aperto».

Che cosa ha significato per il mondo scolastico la pandemia?
«Certo, la pandemia ha giocato un ruolo importantissimo nel bloccare tante di queste opportunità che ci si interroga su quanto si sia perso in termini umani, sociali, scolastici e conoscitivi. Ma i giovani hanno tante risorse ed è su quelle che bisogna puntare: non solo per permettere loro di recuperare dall’isolamento imposto dal covid, ma anche per ridare slancio a un sistema scolastico che a volte sa di chiuso. Di fatto, la pandemia è essa stessa un’opportunità per trasformare la scuola in un sistema educativo prima ancora che istruttivo».

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