Senigallia

«Mio figlio contro i Russi. Ho paura, ma sono fiero di lui». Da Senigallia il racconto di un padre

Il 24enne Pavel, figlio dell'artigiano senigalliese Claudio, combatte al fronte contro i militari russi. Il papà: «Ho paura, fino a ieri era ancora vivo»

Pavel con suo padre Claudio in uno scatto del 2015

ANCONA – Ha la voce stanca e straziata dal pianto, il signor Claudio (che preferisce non rivelare il cognome, ndr). Lui è un papà senigalliese con un figlio al fronte, in Ucraina. Pavel, il figlio di Claudio, ha 24 anni ed è nato da una relazione con una donna ucraina. Pavel è un militare, «il suo desiderio era (ed è) difendere la patria». Quel giovane (e bellissimo) soldato biondo serve la sua nazione dal 2015, quando già si combatteva tra Donbass e Lugansk.

«È proprio nel 2015 che Pavel corona il suo sogno: entrare all’accademia militare», ricorda papà Claudio. Con la voce rotta dalle lacrime, racconta di quando, 7 anni fa, andò in Ucraina a festeggiare il figlio. Allora, Pavel si era appena diplomato al liceo e grazie al suo brillante rendimento scolastico era riuscito ad entrare in accademia.

Uno dei ragazzi più bravi del liceo, Pavel, che già 7 anni fa sapeva come impugnare un kalashnikov: «L’ho visto imbracciare un’arma, ha esperienza e sono fiero di lui. Glielo dico sempre», evidenzia il padre. I due non si vedono dal 2015.

Il 24enne Pavel (il padre preferisce non indicare il cognome, ndr)

«Pavel avrebbe voluto venire in Italia diverse volte, ma facendo il militare non poteva spostarsi». Sa combattere, Pavel è addestrato, ma forse alla guerra non ci si abitua mai.  

L’ultima volta che Claudio ha sentito telefonicamente il figlio era il giorno prima dello scoppio del conflitto, la scorsa settimana: «Gli ho detto di telefonare più spesso alla mamma e lui mi ha risposto che aveva tanto da fare che non avrei neppure immaginato. Però, il giorno dopo ho sentito la madre contenta. ˈMi ha chiamato Pavelˈ ripeteva lei».  

Quel giorno, prima che i Russi bombardassero l’Ucraina, Pavel è stato abbastanza ermetico, come sempre, «dato che non è una persona che si sbottona più di tanto». Claudio ricorda bene quella telefonata: «Mi ha detto ˈGuarda papà, io sicuramente andrò viaˈ, senza menzionare il fatto che sarebbe andato a combattere – fa notare il padre –. Poi, mi ha avvertito ˈSe non chiamo, tu non chiamarmi. Manderò mie informazioni a chi sai tuˈ».

Da quel giorno, Claudio sente quotidianamente la mamma di Pavel, con cui è in buoni rapporti. Un sospiro di sollievo ogni volta che gli dice che è vivo e poi si ripiomba di nuovo giù nell’ansia, fino al giorno dopo: «Mangio poco, dormo due ore a notte e da una settimana ho smesso di lavorare. Non ci riesco, ho la testa altrove», sottolinea Claudio, che di mestiere fa l’artigiano.

«Gli occhi rossi» e il cuore in apprensione di chi ha un figlio al fronte. Là, si sta in bilico tra la vita e la morte e si rischia ogni maledetto minuto. «Fino a ieri, mio figlio era ancora vivo. Oggi non ho ancora sue notizie». Non resta che aspettare, con l’ansia che ti mangia e che sfinisce i giorni.

Pavel con suo padre Claudio in uno scatto del 2015: “Si era appena diplomato. Coronava il sogno di entrare in accademia”

Nell’aria, ci sono «angoscia e preoccupazione, anche perché la città della madre di Pavel, Konotop, è allo stremo» e l’attuale compagno della donna è sotto le bombe di Kiev: «Ho paura – riflette Claudio –. Ogni volta che invio un messaggio su Whatsapp e non vedo la doppia spunta della ricezione mi vengono le palpitazioni».

Anni fa, quando quel ragazzo dagli occhi chiari combatteva nel Donbass ed era costretto ad avvicinarsi alla prima linea «gli dicevo di stare attento, lo mettevo in guardia, cercando di ottenere quante più informazioni possibili».

Pavel, ingegnere aeronautico in divisa, è nato in Ucraina e ultimamente aveva lasciato Konotop (che oggi potrebbe essere bombardata), per trasferirsi a Nikolaev, dove conviveva con la sua giovane fidanzata: «Non so dove sia ora mio figlio – si lascia andare Claudio –. So solo che il suo hangar, là dove aggiustava velivoli, era a 30 chilometri dalla città. Lui è il mio eroe, sa quello che fa».

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