Senigallia

Senigallia, l’Asur respinge al mittente le accuse sulla dialisi

Dall'area vasta 2 la replica alla fondazione "Opera Pia Mastai Ferretti" sul contagio di un anziano ospite in ospedale: «Scorretto affermarlo»

L'ospedale di Senigallia
L'ospedale di Senigallia

SENIGALLIA – «Impossibile stabilire quando e in quali circostanze sia avvenuto il contagio, anche perché il paziente presenta molte comorbidità specie di natura respiratoria», e di conseguenza è assolutamente «inesatto e scorretto» affermare che il primo contagio era legato alla dialisi. È la replica della direzione dell’area vasta n. 2 dell’Asur in merito alle esternazioni del presidente Mario Vichi e del consiglio di amministrazione della fondazione “Opera Pia Mastai Ferretti” di Senigallia, in relazione all’infezione da Covid-19 diffusasi in 26 anziani ospiti.

Vichi e il Cda della fondazione avevano infatti espressamente negato che l’infezione da coronavirus si fosse scatenata partendo dall’interno della struttura residenziale per anziani di via Cavallotti. Anzi, avevano nell’intervento dei giorni scorsi indicato un preciso scenario: «Il problema è sorto con un primo contagio legato alla dialisi e successivamente con qualche operatore o altro dalle ultime visite dall’esterno, pensiamo portatore sano, che inconsapevolmente ha lasciato il virus all’interno della struttura». Insomma, la colpa non sarebbe da ricercare negli ospiti o nel personale della struttura.

Quel dito contro però non è andato giù all’Asur: la direzione dell’Av2 ha ritenuto opportuno precisare quanto sia «scorretto» fare un’affermazione del genere «perché nel nostro reparto, già da tempo (dai primi giorni di marzo), viene effettuato un “triage” ai pazienti prima dell’ingresso in dialisi (misurazione della temperatura, saturazione di ossigeno, breve anamnesi e disinfezione delle mani) e sempre dai primi giorni di marzo il nostro reparto ha iniziato ad utilizzare dispositivi di protezione adeguati, sia per i pazienti (mascherina chirurgica utilizzata durante il trattamento e anche durante il trasporto), sia per il personale sanitario (medici e infermieri) e inoltre sono sempre state mantenute le adeguate distanze fra i vari pazienti in trattamento dialitico contemporaneo».

«Il 23 marzo – continua l’Asur – giorno dell’esecuzione del tampone, il paziente in questione è stato dializzato isolatamente in sala contumaciale e poi ricoverato in attesa dell’esito del tampone covid 19 risultato poi positivo. Da allora il paziente è a tutt’oggi ricoverato nel reparto covid positivi ed è sempre stato dializzato nei locali idonei della sala contumaciale dedicata ai pazienti covid positivi, allestita in ospedale».

Insomma, accuse rispedite al mittente, in quanto «le precauzioni adottate dal reparto dialisi di Senigallia per evitare contagi dell’infezione da covid 19 sono state precoci, continuative, secondo la normativa vigente e anche efficaci in quanto a tutt’oggi solo un’altra paziente, su oltre 50 emodializzati in totale, è risultata affetta da infezione da covid 19».

Se pure più a rischio di contagio rispetto alla popolazione generale per via dell’immunodepressione secondaria allo stato uremico cronico – conclude l’Asur – i pazienti possono stare tranquilli perché la dialisi «di per sé non aumenta ulteriormente il rischio se durante il trattamento e il trasporto dei pazienti vengono rispettate le norme di sicurezza».

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