Senigallia

Alluvione, un trauma che va rielaborato e rimosso verso il ritorno alla vita: intervista alla psicologa dell’emergenza

Sintomi del trauma, metodi e consigli per affrontare l'emergenza. Ne abbiamo parlato con la psicologa dell'emergenza dottoressa Marisa Campanelli

Le ricerche dei dispersi sul Nevola (foto d'archivio)

SENIGALLIA – Vivere i momenti drammatici dell’alluvione. Udire il boato dell’ondata di fango che rompe gli argini e abbatte recinzioni e vetri per irrompere nelle case. Sentire le grida di aiuto. Vedere la fiumana di melma e orrore portarsi via le persone. Piangere le vittime e pregare per i dispersi. Sono tutti flashback che possono tornare nella mente di chi ha vissuto il trauma dell’alluvione. Sono i sintomi del trauma che si incardinano e, se perdurano, rischiano di diventare una problematica psicologica. Occorre perciò elaborare il trauma vissuto, rimuoverlo e liberarsene per poter tornare alla vita. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Marisa Campanelli psicologa dell’emergenza.
Come si rimuove un trauma psicologico?
«Esiste un metodo psicoterapico, l’EMDR, la tecnica più usata nel mondo che mette in collegamento i due emisferi cerebrali ed è basata sui movimenti oculari. Permette l’elaborazione e la rimozione del trauma. Va utilizzata prima che il trauma si instauri (cioè dopo qualche giorno dall’alluvione) o anche dopo, se insorge un disturbo da stress post-traumatico».
Quando parliamo di disturbi, come possiamo identificarli?
«Principalmente si tratta di insonnia, nervosismo, ansia.. »
– Adesso la popolazione è indaffarata nel fronteggiare gli aspetti pratici del post-alluvione, quindi anche la mente è impegnata. Ma quando vedremo i danni dell’alluvione sulle persone?
«I danni e i suoi effetti si vedranno tra uno o due mesi, quando le persone proveranno a tornare alla normalità ma si scontreranno con i disturbi provocati da questo grave avvenimento».
Ha avuto qualche richiesta di aiuto?
«Sì, al momento sono pervenute nel mio studio due richieste di altrettante persone che hanno bisogno di essere sostenute dopo aver perso dei familiari nell’alluvione. Ma potrebbero aumentare col passare dei giorni e superato il momento acuto».

Marisa Campanelli psicologa dell’emergenza


Quali sono i sintomi più frequenti che si manifestano nelle persone sopravvissute da una calamità come questa?
«Spesso vivono dei veri e propri flashback, che possono essere immagini o sensazioni uditive molto nitide. Immagini intrusive che si presentano sia di giorno che di notte sottoforma di incubi. Portano a un abbassamento del tono dell’umore, ansia con picchi molto forti sotto forma di veri attacchi di panico. Inoltre, nei superstiti delle tragedie si instaura un senso emotivo specifico che è il senso di colpa: per non essere riusciti a prevedere la calamità, per non aver salvato dei loro cari, per non essere stati d’aiuto. Per essere vivi mentre altri sono morti. Un senso di angoscia sempre più forte».
– Le è capitato che le raccontassero qualche sintomo particolare?
«Sì, una paziente mi ha raccontato di aver udito un forte boato prima dell’alluvione e di continuare a udire quel boato di notte, accompagnato a incubi e immagini molto reali…».
Ma sono disturbi normali o il segnale di una malattia?
«La maggior parte delle persone che vive un evento traumatico come può essere l’alluvione, si sente così. E’ normale, bisogna dare tempo al sistema nervoso di elaborare la situazione. Diventa un problema quando i sintomi tendono a perdurare per dei mesi e allora bisogna intervenire».
Sono gli stessi sintomi indifferentemente per gli adulti e per i bambini?
«Si, identici. Per i bambini sono sintomi che si traducono di più in immagini e in sensazione di paura, loro hanno più bisogno di elaborare, di parlarne».
Un suggerimento per i genitori, educatori e insegnanti che si troveranno a dover parlare dell’alluvione con dei bambini…?
«Proprio parlarne. Usando le giuste parole, il modo migliore per arrivare alla loro comprensione, ma certamente non far finta che non sia accaduto nulla, non pretendere che se ne dimentichino e che tornino subito alla routine. Creerebbe un trauma peggiore. Ai bambini bisogna parlare di cosa è accaduto, spiegare loro cos’è l’alluvione e cosa ha provocato, ascoltare le loro paure e cercare così di rimuoverle, aiutandoli così, pian piano, a tornare alle loro cose, alla routine e alla normalità. Le loro abitudini sono fondamentali per aiutarli a tornare alla vita».
Non tutti riescono a chiedere aiuto, anche se ne hanno bisogno.
«Lo so, anche questo è normale. Ma proprio per questo l’Ordine degli Psicologi delle Marche ha richiamato dei volontari creando una grande mobilitazione di colleghi organizzati in camper per favorire il sostegno psicologico nelle zone alluvionate. Un servizio itinerante (lo ha anche annunciato l’assessore regionale Filippo Saltamartini, ndr.) usando i camper vaccinali come degli ambulatori itineranti di supporto psicologico e sociale nelle zone alluvionate, in particolare nel pesarese e nelle zone dell’anconetano maggiormente colpite dall’alluvione del 15 e 16 settembre. In campo ci saranno una cinquantina di operatori tra volontari delle associazioni di riferimento (Ares, Sipem, Anpas, Cisom, Cri, ASPROC ) e personale Asur a fare anche da coordinamento, ai quali si aggiungono psicologi arrivati da fuori regione. Il programma verrà deciso in accordo coi sindaci del territorio, a conoscenza delle situazioni più specifiche, e verrà comunicato in anticipo ai cittadini che potranno così decidere di usufruire di questo importante servizio di ascolto e sostegno».

La quotidianità di un peluche travolta dall’alluvione (foto Facebook)

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