Pesaro

Urbino, scambia gli esami del sangue con quelli del figlio per riavere la patente: condannato

Protagonista della vicenda l'ex direttore dell’ufficio controlli dell’Agenzia delle Entrate di Pesaro. Il Tribunale collegiale di Urbino lo ha infatti condannato a sei mesi di reclusione

La polizia di Urbino

URBINO – Ha falsificato gli esami del sangue per riavere la patente che gli era stata ritirata per guida in stato di ebbrezza. Il suo escamotage non ha avuto gli effetti sperati: il Tribunale collegiale di Urbino lo ha infatti condannato a sei mesi di reclusione. Protagonista della vicenda P. M., ex direttore dell’ufficio controlli dell’Agenzia delle Entrate di Pesaro. I fatti risalgono al 2013; era il 7 luglio quando l’uomo era stato fermato dalla Polizia stradale e sottoposto ad alcooltest che aveva dato esito positivo con il conseguente ritiro della patente per 90 giorni.

Secondo la ricostruzione dell’accusa, come riportato dal Ducato, P.M. decise allora di rivolgersi all’amico, ex funzionario del Commissariato di Urbino, U. S., che, a sua volta, lo indirizzò al capo della Polstrada di Urbino, G. G. Il suggerimento di quest’ultimo fu quello di fare ricorso al giudice di Pace sostenendo che la positività al test era conseguenza dell’utilizzo di un collutorio a base alcolica.

Ma per riottenere la patente era necessario provare l’assenza di alcol nel sangue con un prelievo, che avvenne a domicilio. A effettuarlo fu il responsabile del Laboratorio di tossicologia dell’Asur di Pesaro, P. C., il quale era riuscito a farsi affidare le analisi per poi eseguirle non al protagonista della vicenda ma al figlio di lui, così da far risultare il sangue “pulito”. Il responsabile del laboratorio analisi, che era anche lui indagato, ha patteggiato nel 2015 con sentenza irrevocabile.

Assieme a P.M., sono finiti alla sbarra anche la sua dentista M. G. C. per aver prescritto il collutorio allo scopo di sostenere la versione dell’imputato, l’ex funzionario del Commissariato di Urbino, ed il capo della Polstrada di Urbino. Questi ultimi tre sono stati assolti dai giudici collegiali perché il fatto non sussiste. Come riferito dal pm Irene Lilliu allo stesso Ducato: «A fare la differenza sono stati il cambiamento della norma sugli abusi d’ufficio e il cambiamento della legge sulle intercettazioni che non ha reso possibile accedere a elementi utili a provare il coinvolgimento degli altri imputati».

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