Pesaro

Urbino, rinviati a giudizio per caporalato nei confronti di pakistani: la Cgil parte civile nel processo

L'esposto era partito nel 2018. Piccolo: «I lavoratori erano ricattati e temevano ritorsioni: non li abbiamo lasciati soli»

Pesaro
Carabinieri dell'ispettorato del lavoro

URBINO – Rinviati a giudizio per caporalato, la Cgil si costituisce parte civile. Venerdì l’udienza preliminare sulla vicenda dei lavoratori pakistani impiegati in diverse aziende nel Montefeltro.

Una vicenda che risale a settembre 2018 quando la CGIL di Pesaro presentò un esposto in seguito alla raccolta delle testimonianze di alcuni lavoratori pakistani che lavoravano per una cooperativa di logistica e facchinaggio all’interno di alcune ditte di un’importante realtà produttiva del territorio. A maggio 2019 ci furono i primi arresti.

La mattinata si è aperta con la richiesta del rinvio a giudizio di tutti e cinque gli indagati per sfruttamento della manodopera, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, il giudice ha poi accolto la richiesta di rinvio a giudizio. Molti dei lavoratori sfruttati erano presenti nei corridoi del tribunale di Urbino.

Andrea Piccolo, oggi segretario generale della Filctem Pesaro Urbino, all’epoca dei fatti era funzionario della Cgil nel Montefeltro ed è proprio lui che si è accorto, nonostante un muro di reticenze, che in quelle cooperative qualcosa non andava.

«Sono passati 3 anni dai primi incontri che ho avuto con questi ragazzi – ricorda – e oggi finalmente iniziamo a vedere riconosciuto quanto abbiamo scritto nell’esposto del 2018. In questo arco di tempo abbiamo organizzato i lavoratori, li abbiamo assistiti e incoraggiati ad andare avanti, siamo stati al loro fianco in ogni fase delle indagini e degli interrogatori cercando soprattutto di tranquillizzarli – aggiunge Andrea Piccolo –. Questi lavoratori erano ricattati e temevano ritorsioni, ma abbiamo cercato di tutelarli e di non lasciarli soli».

Gli operatori di polizia giudiziaria appartenenti al nucleo dei Carabinieri Tutela Lavoro e delle Guardia di Finanza sono stati fondamentali per la riuscita delle indagini. Casi che si ripetono, in un territorio che non è immune. L’ultimo solo pochi giorni fa, nell’ambito degli autolavaggio con lavoratori egiziani coinvolti.

«La collaborazione col sindacato – continua – è stata la chiave per coinvolgere la quasi totalità dei lavoratori sfruttati. Consideriamo che molti accettavano di lavorare 10/12 ore al giorno, senza alcun giorno di riposo e restituendo una parte delle retribuzioni per non perdere il permesso di soggiorno e quindi poter contribuire al mantenimento dei propri familiari in Pakistan».

Il timore di essere allontanati dal nostro Paese e il non poter provvedere ai bisogni della famiglia è stato  il motivo per il quale il sindacato non è riuscito  fin dal primo momento a coinvolgere tutti i lavoratori .

«Fondamentale – continua Andrea Piccolo –  è stato il coraggio di uno dei più giovani fra questi lavoratori che parla correttamente la nostra lingua e ci ha permesso di entrare in una comunità molto chiusa e diffidente, ma una volta instaurato il rapporto di fiducia con i ragazzi siamo riusciti a metterli in contatto con gli inquirenti.  Vedremo l’evoluzione del processo, per adesso siamo soddisfatti di aver dato il via ad una importante operazione di contrasto al caporalato, anche se – conclude Andrea Piccolo –  rimane l’amaro in bocca per non essere riusciti a ottenere l’assunzione diretta da parte delle ditte che utilizzavano questi lavoratori in appalto. Tuttavia continueremo, con ancora più impegno, a chiedere un contratto di lavoro vero per chi ha dimostrato il coraggio di ribellarsi ad una condizione di sfruttamento».

Per il segretario generale della Cgil Pesaro Urbino Roberto Rossini: «il fenomeno del caporalato muta e si adatta alle caratteristiche del sistema produttivo in cui si inserisce. L’idea che questo tipo di sfruttamento sia da confinarsi all’agricoltura o solo nel sud del Paese è una narrazione che non corrisponde alla realtà e questa vicenda lo dimostra concretamente. La decisione della CGIL provinciale di costituirsi parte civile non è stata assunta solo per meglio tutelare i lavoratori che hanno subito tale condizione di sfruttamento, ma anche perché riteniamo fondamentale sensibilizzare la nostra comunità per contrastare questi e altri fenomeni di sfruttamento nel mondo del lavoro».

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