Pesaro

Apecchio, svolta storica: «Qui il vicolo più stretto delle Marche. Gli ebrei e l’amore per Lucrezia»

La curiosa storia di Apecchio, un borgo marchigiano che non è mai stato un ghetto ebraico. Il racconto dello storico Leonello Bei

APECCHIO (PESARO URBINO) – Il vicolo più stretto delle Marche si trova ad Apecchio, in provincia di Pesaro Urbino. Era qui che, per circa duecento anni, hanno vissuto diversi ebrei. Non erano confinati in un ghetto, ma potevano vivere autonomamente grazie all’amore che Federico da Montefeltro nutriva nei confronti di una ragazza, Lucrezia.

È questa la scoperta che ha fatto di recente un conosciutissimo storico locale, Leonello Bei: «Il vicolo aveva come scopo iniziale quello di accentuare il fatto che le case degli ebrei fossero separate da quelle dei cristiani. Poi chiaramente ci si poteva passare, non era escluso il passaggio – ribadisce Bei – ma era piuttosto scomodo».

Gli ebrei del posto dovevano pagare una tassa annuale allo Stato Pontificio: «Era stata imposta e usata specificamente dallo Stato Pontificio per pagare gli ebrei che si convertivano al cristianesimo. Ebrei che dovevano studiare la religione e quant’altro. C’era tutta un’organizzazione, sa. Chi si convertiva, doveva così fare un corso per diventare cristiano e il corso – spiega il famoso storico – veniva finanziato con questa tassa. Che pagavano solo gli ebrei» – ribadisce.


Apecchio (foto tratta dal sito istituzionale del Comune)

Una storia, questa, che affonda radici in tempi remoti: «Iniziò tutto nella seconda metà del 1400, con Federico e Ottaviano Ubaldini. Ottaviano era infatti il fratello di Federico da Montefeltro (il padre era un Ubaldini). Il quartiere ebraico rimase attivo fino al 1600, quando il Papa fece un editto per cui gli ebrei avrebbero dovuto ritirarsi tutti all’interno dei ghetti principali. E quelli di Apecchio furono costretti a lasciare le loro case e ad andare a Urbino. Ma ciò successe quando finì il Ducato di Urbino, o addirittura quando entrò a far parte della Chiesa. Perché prima gli ebrei avevano la protezione dei Conti di Apecchio e dei Duchi urbinati».

Passeggiare ad Apecchio significa immergersi nella storia: «Abbiamo messo le indicazioni e le spiegazioni sui vicoli, ci sono persino le date», precisa Bei. Che prosegue: «Il quartiere ebraico non era un ghetto, come altrove. Infatti, nei ghetti, la sera, gli ebrei venivano chiusi a chiave nel loro quartiere e non potevano più uscire. Ma in Apecchio il quartiere era libero. Questo è da specificare, perché è molto importante la loro autonomia. Dietro c’è tutta una storia. Gli ebrei vivevano soprattutto in via dell’Abbondanza. Qui, c’era tutta una fila di case, i magazzini del grano, la macelleria, il forno. E persino il giardino scoperto per fare la festa delle capanne, un’usanza ebraica per cui gli ebrei devono recarsi a vivere per alcuni giorni in una capanna di frasche. E avendo creato un giardino nel quartiere, potevano farlo senza uscire di notte, dentro casa propria, assolvendo alla loro funzione».

Apecchio (foto tratta dal sito istituzionale del Comune)

Strano ma vero, c’era anche una sinagoga. «Era alquanto inusuale che ci fosse una sinagoga in un paesino così piccolo, era un eccesso. Ma gli ebrei erano completamente autonomi. E sapete perché c’era questa possibilità, per loro? – domanda Bei – Perché gli ebrei di Apecchio avevano una grande protezione, quella di Federico da Montefeltro, che era innamorato di una ragazza di fede ebraica, Lucrezia. L’ho scoperto di recente e adesso tutto quadra».

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