Pesaro

Il pianto del bambino, una bussola per mamma e papà

Il pianto è un sistema di segnalazione fisiologico, una richiesta di aiuto e una ricerca di soddisfazione dei propri bisogni. Ecco cosa occorre sapere. L'approfondimento con la pedagogista Silvia Ferretti

Ogni bambino è diverso, ma tutti piangono! Perché?
Fin dalla nascita il bambino piange per comunicare agli altri il suo stato d’animo. Questo fenomeno avviene grazie a un collegamento tra il sistema nervoso e le aree cerebrali deputate alla rappresentazione delle emozioni, tra cui spicca l’amigdala, una struttura del cervello che gioca il ruolo più importante nella gestione delle emozioni.

Qual è il significato del pianto?
Prima di considerare come un vero e proprio problema il pianto di un bambino, bisogna rendersi conto che il pianto è un sistema di segnalazione fisiologico, una richiesta di aiuto e una ricerca di soddisfazione dei propri bisogni.
Il massimo della frequenza e della durata del pianto si ha nei neonati.
E ciò per vari motivi: immaturità del sistema nervoso, necessità di affrontare situazioni organiche e psicologiche nuove e sconosciute; impossibilità di comunicare in altro modo tutti i loro bisogni, che sono numerosi.

La pedagogista Silvia Ferretti

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Qual è l’evoluzione del pianto?
Quasi tutti i bambini, nel secondo semestre del primo anno di vita, piangono molto meno di quanto non facessero in precedenza. E se anche il pianto non diminuisce di molto, cambia l’impressione che esso produce sugli altri. In questa fase di crescita il pianto per il bambino rappresenta una reazione: il piccolo piange per via di qualcosa di specifico che è accaduto o a causa di un sentimento preciso.

Anche se il bambino tende a piangere meno facilmente e meno di frequente, c’è un aspetto dello sviluppo che lo influenza molto: l’ansia da separazione. La maggior parte dei bambini non sopporta di essere separato dalle persone che ama. La combinazione di separazione e solitudine è ciò che il bambino teme di più.
Essere affidato a qualcuno con cui il bambino non ha troppa confidenza, o la presenza di un estraneo, sono fattori che provocano in lui smarrimento.

Come può l’adulto aiutare il bambino a gestire l’angoscia in questi delicati momenti evolutivi?
È incoraggiante sapere che un certo livello di ansia da separazione è sano e fa parte del normale sviluppo del bambino.
I bambini fino ai 18-24 mesi possono sperimentare lievi livelli di preoccupazione quando compiono i primi passi verso l’esplorazione del loro ambiente, tornando frequentemente vicino al genitore, alla ricerca di sicurezza.

Per aiutare il bambino a gestire l’inquietudine vissuta in queste circostanze, mamma e papà devono ascoltare e cercare di comprendere i suoi sentimenti, senza sminuire ciò che il bambino sta vivendo.
Se si rivolge al bambino uno sguardo attento, è possibile decifrare quali sono i momenti critici per lui, quindi conoscendoli e riconoscendoli, si può cercare di anticipare le possibili situazioni in cui il bambino potrebbe sperimentare ansia dall’allontanarsi dai genitori.
Ad esempio, quando il bambino arriva al nido,: se si separa con meno difficoltà da uno dei due genitori, allora si può designare questo come accompagnatore ufficiale, senza che l’altro genitore si senta inadeguato.
Se la coppia genitoriale rimarrà tranquilla al momento della separazione, e sarà supportata da sentimenti di fiducia e di reciprocità, il bambino interiorizzerà immagini positive.
Così aumenterà il suo senso di sicurezza e attingerà a questa fonte soprattutto nei momenti più impegnativi delle sfide della crescita.

Come possono mantenere la calma i genitori durante le esplosioni di pianto del bambino?
Il pianto del bambino può causare avversione negli adulti, quindi è consigliabile informarsi tramite il pediatra o gli operatori del nido sul possibile significato del pianto alle diverse età del bambino, per sentirsi più competenti nella relazione con il figlio ed evitare di perdere il controllo.
Per poter capire l’emozione e quindi poterle dare una risposta, un genitore ha bisogno di assorbirla, di sentirla.

Spesso il pianto riaccende sentimenti molto primitivi.
Entra proprio dentro. Ed è così che deve essere. È così che si riesce a capire cosa significa. Solo allora lo si può tradurre in qualcosa di più accettabile per il bambino, anche se non sempre è facile farlo.
Il modo in cui si affrontano i sentimenti suscitati dal pianto del proprio figlio influenzerà il suo modo di gestire le emozioni.
Se si riesce a dare un senso al pianto del bambino, si nutrirà una relazione di fiducia e il bambino, sentendosi riconosciuto e percepito, si farà cullare dall’aiuto dei genitori.

Osservandolo in tutte le sue sfumature si riuscirà a capire di cosa ha bisogno: la pappa, un pannolino asciutto, una copertina o più semplicemente uno sguardo, un sorriso, un abbraccio, un massaggio pieno d’amore.

Prendendosi cura del bambino, ci si prenderà cura del pianto.
Prendendosi cura del suo pianto, ci si prenderà cura anche dell’adulto.

Il pianto del bambino dunque come bussola per mamma e papà?
Sì, sempre!
Ogni genitore desidera fare le cose per bene. Fare il meglio per il proprio bambino. Bisogna darsi tempo. Tempo per capire. Tempo per imparare a conoscere il linguaggio del proprio bambino. Il suo comportamento è il suo linguaggio.

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Leggendo il suo comportamento si possono scoprire molti aspetti della personalità del bambino, del suo temperamento. Si possono scoprire le sue straordinarie capacità e imparare che cosa aspettarsi da lui.
Sarà il bambino a condurci con il pianto nelle sue regioni più interne.
Nell’equilibrio.
Sarà bello camminare insieme.
Anche con il pianto!

Silvia Ferretti, pedagogista
Tel. 347 1782948
silviaferrettibrz@outlook.it
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