Pesaro

Pesaro Urbino, due pensioni su tre non superano la soglia di povertà. Le donne le più penalizzate

La Cgil provinciale sottolinea i dati: il 64% non arriva a 750 euro mensili. Rossini e Longhin: «Ci auguriamo che da questa pandemia si determini una spinta a un cambiamento dell’attuale paradigma previdenziale»

PESARO – Pensioni, due persone su tre non superano i 750 euro: sono sotto la soglia di povertà. Le donne sono le più penalizzate e si alza sempre di più l’età per smettere di lavorare.

Sono 117 mila le prestazioni pensionistiche e assistenziali attualmente erogate dall’Inps nella provincia di Pesaro Urbino, e di queste oltre 60 mila sono le pensioni di vecchiaia (pari al 51,5% del totale), 9 mila sono le pensioni di invalidità (8,2%), 22 mila le pensioni ai superstiti (19,1%), quasi 4 mila le pensioni/assegni sociali (3,3%) e 21 mila sono le prestazioni a invalidi civili (17,9%).

È quanto emerge dai dati dell’Inps sulle pensioni vigenti nel 2021 (escluse le gestioni dei lavoratori pubblici), elaborati dall’Ires Cgil. Dal 2017 il numero delle pensioni complessivamente erogate nella nostra provincia è diminuito del 3,1%, pari a circa 3.700 mila prestazioni in meno.

Nello stesso periodo si è notevolmente innalzata l’età media dei percettori delle pensioni di vecchiaia. Ciò è particolarmente evidente per coloro che sono stati lavoratori dipendenti: i pensionati con meno di 65 anni di età sono appena l’11,6% del totale, mentre coloro che hanno oltre 80 anni sono passati, in cinque anni, dal 33% al 36,1%.

L’importo medio delle pensioni vigenti nella provincia di Pesaro Urbino è di 811 euro lordi, con valori medi che variano dai 1.080 euro delle pensioni di vecchiaia ai 419 euro delle pensioni e assegni sociali.

L’importo medio delle pensioni di vecchiaia nella provincia è il più alto delle Marche (45 euro mensili in più della media regionale) ma di molto inferiore a quello nazionale ( -167 euro lordi).

Significativa è la differenza tra uomini e donne relativamente all’importo della pensione di vecchiaia: se i primi percepiscono 1.345 euro lordi, le donne arrivano a 746 euro, pertanto queste ricevono mediamente 598 euro in meno ogni mese (-44,5% rispetto agli uomini).

Nella provincia di Pesaro Urbino quasi 76 mila prestazioni pensionistiche, pari al 64,5% del totale, sono inferiori a 750 euro al mese: dunque, 2 pensionati su 3 percepiscono un importo che non consente loro di superare la soglia della povertà. Anche da questo punto di vista si confermano notevoli differenze di genere: gli uomini con pensioni fino a 750 euro sono il 43,8% del totale, mentre per le donne tale percentuale sale al 80,1%.

Per Roberto Rossini, segretario generale Cgil Pesaro Urbino: «I dati testimoniano la necessità urgente di una riforma complessiva del nostro impianto previdenziale che dovrà prevedere la possibilità di accesso flessibile alla pensione, il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori, la valorizzazione del lavoro di cura e del lavoro delle donne, che come si evince dai dati sono quelle più penalizzate.

Inoltre, è il momento di prevedere un meccanismo che tuteli le future pensioni dei giovani, in particolare coloro che hanno carriere discontinue con basse retribuzioni. È necessario garantire tutele continue nella discontinuità del lavoro, e a tal fine serve un sistema pensionistico che non solo assuma in modo strutturale un criterio di flessibilità, ma che lo applichi senza penalizzazioni alle categorie più esposte».

«È necessario e urgente – commenta Loredana Longhin, segretaria Spi Cgil provinciale – disegnare una riforma strutturale del sistema previdenziale che superi le attuali rigidità e che decorra dal gennaio 2022, alla scadenza di “Quota 100”. Per il sindacato la Legge Fornero deve essere cambiata perché rigida e iniqua, e perché al suo interno non lascia spazio alle nuove generazioni, le donne,  e men che meno a chi svolge lavori più gravosi. Bisogna considerare che in questi anni è cambiato completamente il paradigma entro cui si muove il sistema previdenziale: si continua a ragionare come se fossimo nel sistema retributivo, mentre il fatto vero è che ormai per tutti è prevalente la componente contributiva».

E conclude: «Ci auguriamo che da questa pandemia tutti sappiamo trarre le giuste indicazioni e che si determini una spinta a un cambiamento dell’attuale paradigma previdenziale. Oggi più che mai serve garantire un maggior potere d’acquisto per i pensionati e promuovere le adesioni alla previdenza complementare, come altro pilastro del sistema previdenziale».

Ti potrebbero interessare