Pesaro

Pesaro, il saluto dell’arcivescovo Coccia: «In 18 anni trapasso culturale, sociale ed ecclesiale»

L'omelia al termine del suo ministero episcopale nell’Arcidiocesi di Pesaro prima dell'ingresso di son Sandro Salvucci

L'omelia dell'arcivescovo Piero Coccia

PESARO – Il saluto dell‘arcivescovo Piero Coccia alla comunità di Pesaro. Quella di sabato 23 aprile è stata l’ultima omelia prima dell’insediamento del nuovo vescovo don Sandro Salvucci.

Ecco alcuni passaggi dell’omelia del vescovo Coccia al termine del suo ministero episcopale nell’Arcidiocesi di Pesaro.  «Mi chiedo sempre se sono stato all’altezza dei compiti che mi ha affidati. Mi chiedo se nei miei diciotto anni sono stato segno dell’amore di Dio, quell’amore che guarisce i cuori affranti. Mi domando se sono stato un vescovo fedele nell’ascoltare il Signore e nel comunicarlo alla chiesa a me affidata.

Ripensando ai miei 18 anni trascorsi con voi, registro anche io manchevolezze e insufficienze. Tuttavia posso dire con tutta sincerità che il mio impegno di pastore è stato sempre totale. Non mi sono lasciato prendere da calcoli, da carrierismi, dall’ossessione del consenso e dalla voglia smaniosa di apparire. Non sono stato a prua della nave a sventolare la bandiera ma nella stiva per far funzionare al meglio il motore e mandare avanti l’imbarcazione, a volte anche in acque tempestose».

E prosegue: «Ma voglio aggiungere una constatazione oggettiva. I miei 18 anni trascorsi a Pesaro sono passati velocemente e sono stati segnati profondamente dall’esperienza di un trapasso culturale, sociale ed ecclesiale di eccezionale portata. Un trapasso che ci ha visti protagonisti e qui parlo al plurale perché tante esperienze le abbiamo vissute insieme ed hanno costituito una sfida inedita a cui insieme abbiamo cercato di dare risposta.

A livello culturale abbiamo assistito ad un radicale cambio della cifra interpretativa della vita e quindi del suo approccio. Oggi ci troviamo di fronte a criteri valutativi ed operativi diversi dal passato. Avvertiamo il senso della precarietà, dell’incertezza, della fragilità della condizione umana e quindi anche della volontà di “consumare” in fretta quanto la vita ci offre.  Magari con un indebolito senso di responsabilità nei confronti del futuro. Questa considerazione non è da poco perché ci mette davanti ad un quadro culturale con cui dobbiamo ancora confrontarci, come comunità cristiana.

livello sociale, anche se non sempre ne abbiamo avuto piena coscienza, abbiamo vissuto dei passaggi quasi violenti che hanno profondamente modificato la società anche quella di Pesaro. Ne sottolineo alcuni.

La crisi finanziaria del 2008 che ha prodotto un rilevante tasso di disoccupazione anche nel nostro territorio.

Il fenomeno delle emigrazioni che ha trasformato profondamente il tessuto sociale della nostra comunità, rendendola sempre più multietnica, sempre più multiculturale e multireligiosa.

L’aumento delle vecchie e nuove povertà a tutti noi note. L’infiltrazione nel nostro territorio di virus sociali ed economici pericolosi.

E come disconoscere l’esperienza del Covid che in questi ultimi anni ha stravolto i nostri stili di vita, prodotto ferite insanabili nelle famiglie con la scomparsa di tante persone care (compresi alcuni sacerdoti diocesani), messo a dura prova non solo il settore della sanità ma l’intero sistema sociale, producendo una serie di difficoltà a cui comunque anche qui abbiamo cercato di dare soluzione.

Anche a livello ecclesiale abbiamo vissuto e stiamo vivendo un trapasso di straordinaria portata. Oggi posso dire che lascio una chiesa profondamente diversa da quella che ho trovato. Tante cose sono cambiate e stanno cambiando. L’attenzione puntuale alla formazione e all’aggiornamento del clero. Il notevole e costante investimento di risorse nella formazione e nella responsabilizzazione dei laici sia a livello di Curia come anche di parrocchie. La costituzione delle Unità pastorali con l’unificazione di più parrocchie. Processo questo che necessita di ulteriore sviluppo.

La valorizzazione pastorale delle Vicarie che necessitano anche esse di una urgente revisione.

Lascio questa comunità diocesana con animo molto sereno e con una duplice certezza. La prima: quanto abbiamo costruito insieme rimane e avrà ulteriore sviluppo con l’Arcivescovo Sandro. La seconda: il legame che viviamo nella preghiera e con la preghiera rimane per tutti noi un’esperienza di comunione inscalfibile, destinata a perdurare al di là del tempo e della nostra diversa collocazione geografica».

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