Pesaro

Pesaro, penuria di medici del 118 nelle comunità montane. Il grido di allarme dei cittadini: «Di che morte moriremo?»

Migliorano le condizioni del bimbo caduto dalla bicicletta a Piobbico, ma l'episodio riaccende i riflettori sulla scarsità di personale medico per coprire una vasta ed impervia zona

L'ambulanza della Croce Gialla di Ancona

PIOBBICO – Migliorano le condizioni del bimbo rimasto vittima di una brutta caduta dalla bici nella giornata del 3 ottobre. Il piccolo, che è ancora ricoverato in osservazione all’Ospedale Salesi di Ancona, si trovava in un parco a Piobbico con i suoi genitori quando è rovinato a terra: nonostante indossasse il caschetto avrebbe perso i sensi.

Subito sono stati allertati i soccorsi e lì è iniziata una vera e propria odissea: ci sono volute tre ambulanze in quanto solo l’ultima, proveniente da Cagli, aveva a bordo un medico. Dopo svariate peripezie il piccolo è stato prima portato all’ospedale di Urbino e poi trasferito in elisoccorso al Salesi di Ancona. Una storia a lieto fine ma che accende i riflettori sulla problematica della penuria di medici del 118 della comunità montana pesarese che, in caso di sinistro grave, rischia di essere soccorsa solo da volontari o al massimo da infermieri. Una vera e propria desertificazione sanitaria iniziata tempo fa a cui gli attuali vertici regionali sembrano non aver ancora trovato una soluzione congrua.

«Può sembrare brutto da dire ma a volte ci chiediamo: di che morte moriremo? Ci si sente un po’ appesi ad un filo – riferisce un residente di Mercatello sul Metauro – soprattutto chi ha figli piccoli, ma vale anche per i nostri anziani: sono loro i soggetti più fragili, il timore con cui conviviamo è che in caso di qualche imprevisto i soccorsi non arrivino in tempo. Una paura che torna a galla ogni volta che succede qualcosa ma a cui gli enti preposti non hanno mai trovato una risposta reale».

Un episodio senza lieto fine si era consumato a Cagli lo scorso 11 giugno: in quell’occasione un cardiopatico morì nell’attesa dell’arrivo del 118. Dalla chiamata all’arrivo della prima ambulanza intercorsero 30 minuti, troppo tempo per un uomo con pregressi di cardiopatia. Al momento del malore l’ambulanza più vicina era già fuori per un altro servizio e così la chiamata era stata dirottata in un altro paese. Il primo mezzo dei sanitari arrivò da Fossombrone con a bordo solo il personale infermieristico. Il secondo veicolo, appartenente sempre ai mezzi di Fossombrone ma proveniente da Fano, sarebbe arrivato poco dopo, stavolta con medici a bordo ma oramai, per l’uomo, era troppo tardi.

In quell’occasione a prendere posizione fu la consigliera regionale Marta Ruggeri: «La Regione dovrebbe muoversi con la massima celerità, dimostrando in modo concreto e tempestivo la proclamata discontinuità rispetto alla precedente gestione, con i suoi ospedali provinciali e un’attenzione assai meno pressante alla sanità diffusa, che pure è la fondamentale garanzia di un eguale diritto alla salute. Servono più dottori, per potenziare la flotta delle automediche, e servono postazioni più numerose per coprire meglio il territorio. Dalla Regione attendo notizie riguardo all’interrogazione del gruppo a 5 Stelle sulle tre nuove postazioni Potes 118 nell’Area Vasta 1, di cui una a Frontone e Terre Roveresche».

Ma gli episodi sarebbero molto più frequenti di quelli che finiscono alla ribalta delle cronache. Meno di 15 giorni fa la stessa situazione è stata vissuta da un anziano di Mercatello sul Metauro, punto alla testa ed al collo da alcuni calabroni. In quel caso l’ambulanza più vicina, ovvero ad Urbania, con medico a bordo, non era disponibile perchè impegnata altrove, a Urbino l’ambulanza non aveva il medico a bordo e allora fu necessario un mezzo da Sassocorvaro che però arrivò dopo ben 33 minuti.

Sulla delicata questione è intervenuto anche l’assessore regionale Filippo Saltamartini: «Il tema delle ambulanze è paragonabile a quello dei medici di medicina generale. Ci mancano sanitari per il 118 e medici di famiglia. Problemi che si conoscevano da tempo e che abbiamo ereditato ed ora tocca a noi metterci una pezza».

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