Pesaro

Omicidio Bruzzese, la moglie: «Marcello ci disse di stare sempre in guardia»

In aula il racconto della donna che ha parlato del contesto 'ndranghetista, del programma di protezione e dei Crea

Il tribunale di Pesaro

PESARO – Li aveva messi in guardia da un possibile attacco ‘ndranghetista. È quanto ha raccontato, in udienza, la moglie di Marcello Bruzzese, freddato da una scarica di proiettili il 25 dicembre 2018 in via Bovio, nel centro storico di Pesaro.

La donna, girata di spalle per proteggerne l’identità e in video collegamento da un sito protetto ha detto che «ricordare quei momenti è come riviverli un’altra volta, come girare il coltello nella piaga. A me fa tanto male tutto questo». Davanti alla corte d’assise del tribunale di Pesaro si celebra il processo a carico di Rocco Versace, 57enne calabrese accusato di omicidio in concorso di Marcello Bruzzese. Una vendetta verso il fratello Biagio, pentito di ‘ndrangheta che con le sue dichiarazioni ha fatto arrestare alcuni membri del clan Crea di Rizziconi. E che aveva tentato di uccidere un membro della cosca Crea

Per la procura Versace avrebbe avuto il ruolo di pianificare l’omicidio. Versace è stato arrestato dai carabinieri del Ros di Ancona nell’ottobre del 2021 assieme a Francesco Candiloro e Michelangelo Tripodi, questi ultimi condannati entrambi all’ergastolo dal Tribunale di Ancona con il rito abbreviato, come esecutori materiali dell’omicidio.

La moglie di Marcello ha risposto a fatica, e a tratti con reticenza, alle domande del pubblico ministero. «Non appartengo a nessuna famiglia di ‘ndrangheta, né mi volevo interessare di queste vicende». Poi ha aggiunto di sapere «in parte delle vicende di mio cognato» (Girolamo Biagio ndr). Ha raccontato «di un litigio in un podere» in cui Marcello era rimasto ferito da un colpo d’arma da fuoco. Il cognato e il suocero erano morti e Marcello era riuscito a salvarsi. «Stavo per partorire, non ho chiesto i motivi del ferimento. Non siamo mai scesi nei particolari».

Quanto alla famiglia Crea, la signora ha detto di «averne sentito parlare» quando era entrata nella famiglia Bruzzese. E su di loro ha detto: «Erano persone autorevoli nel paese».

Girolamo Bruzzese si era dissociato nel 2003, consegnandosi ai carabinieri dopo aver tentato di uccidere il boss Teodoro Crea. Un fatto conosciuto «tramite le cronache». Poi il programma di protezione dal 2003. «Abbiamo cambiato cognome per un periodo, non ci sentivamo in pericolo». Vivevano a Pesaro dal 2008 e la donna ha raccontato. «Mio marito ci metteva in guardia, diceva che ci sarebbero potute essere ripercussioni in famiglia. Dovevamo guardarci le spalle».

Riguardo alla sera del delitto, la donna ha riferito che il marito uscì di casa poco dopo le 18 per spostare l’auto: «Io e mia figlia abbiamo sentito gli spari, ma abbiamo pensato allo scoppio di petardi, visto il periodo». Poi la concitazione con la chiamata di Girolamo Biagio. «Mi disse di cercare Marcello urgentemente. Non riuscivo a rintracciarlo, così mi ha detto di scendere e andare a vedere. Era tutto transennato da polizia e carabinieri. Nessuno mi diceva nulla, così ho cercato di forzare la porta del garage e ho capito».

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