Pesaro

Lockdown ed esplosioni di violenza: gli effetti della pandemia sugli adolescenti. Parla l’esperto

Lo psicologo e psicoterapeuta Luca Paggi analizza il pestaggio avvenuto a Fano da parte del branco ai danni di due coetanei: «La motivazione di questa escalation va ricercata nei confini della sperimentazione e dei conseguenti limiti»

Immagine di repertorio

FANO – È indubbio che tra le categorie più colpite dagli effetti della pandemia e dalle conseguenti restrizioni ci siano gli adolescenti. Questo dato è supportato da numerose ricerche che indagano da diverse angolazioni l’impatto che il Covid-19 ha avuto sulla fascia di età compresa tra i 14 ed i 19 anni. Un quadro estremamente esaustivo viene redatto da una ricerca stilata IPSOS e commissionata da Save the Children Italia. Nel report vengono prese in considerazione le conseguenze delle restrizioni sui più giovani, soprattutto per quello che concerne la chiusura delle scuole, che in questa circostanza viene analizzata non solo per il suo ruolo formativo-culturale ma anche e soprattutto per quello che inerente alla socialità.

È ormai acclarato dalle neuroscienze che l’adolescenza sia un’età di grandi cambiamenti e trasformazioni, in cui i ragazzi sono chiamati a realizzare compiti evolutivi, fasi specifiche quali separazione-individuazione e ridefinizione dei propri valori attraverso l’incontro con altre persone al di fuori del proprio nucleo familiare (amici, professori, allenatori sportivi ecc.). È altrettanto assodato che lo sperimentarsi nel gruppo dei pari è condizione necessaria per definire la propria identità, diventare consapevoli di Sé, dell’altro e della relazione con l’altro.

Le neuroscienze negli ultimi anni hanno dato un contributo essenziale per comprendere le modifiche che avvengono a livello neurobiologico in una finestra temporale di plasticità neuronale molto spiccata, all’interno della quale, le esperienze, le relazioni e le abitudini contribuiscono fortemente ai cambiamenti dello sviluppo cerebrale. Alla luce di tutto ciò c’è da chiedersi quale impatto e quali conseguenze avranno a lungo termine gli ultimi 15 mesi segnati indelebilmente dalla pandemia, e soprattutto se questa menomazione esperienziale sia una delle cause delle sempre più frequenti esplosioni di violenza. Proprio in riferimento a quanto accaduto a Fano qualche settimana fa dove due giovani sono stati pestati da circa 20 coetanei, abbiamo chiesto allo psicoterapeuta Dott. Luca Paggi di illustrarci questi comportamenti.

Dott. Luca Paggi, psicologo e psicoterapeuta
Dott. Luca Paggi, psicologo e psicoterapeuta

Sono sempre più frequenti le esplosioni di violenza che riguardano gli adolescenti o i giovanissimi: l’ultimo registrato a Fano ha coinvolto un branco di 20 ragazzi tra i 15 e di 20 anni che hanno pestato un 17enne ed un 18enne per motivi futili e legati al look ritenuto eccentrico. A livello psicologico come si può spiegare il disagio crescente che ci viene raccontato da questi episodi?
«È risaputo che durante l’età adolescenziale l’individuo sperimenta sé stesso al di fuori del contesto familiare e costruisce quindi la sua futura identità. Ultimamente, senza entrare nello specifico della situazione, stiamo assistendo a situazioni di disagio e di devianza giovanile sempre più evidenti e marcate. La motivazione di questa escalation va ricercata nei confini della sperimentazione e dei conseguenti limiti. I giovani di oggi, venendo per lo più da contesti familiari dove si fa sempre più fatica e c’è sempre meno voglia e tempo di imporre regole, mettere divieti, tracciare ciò che è giusto e sbagliato, fanno difficoltà a costruirsi una personalità solida. La mancanza di una base sicura rappresentata dal contesto familiare li porta a non avere più la consapevolezza di dove possa arrivare la loro sperimentazione, non hanno altra scelta che alzare il tiro delle loro esperienze all’esterno alla disperata e affannosa ricerca di sé stessi. È come se cercassero di estendere la loro identità aldilà di tutto ciò che possa essere sistema, legge, istituzione proprio perché non hanno ricevuto le basi per “costruirsi” all’interno di confini ben delimitati».   

È evidente che le restrizioni ed il lockdown degli ultimi 15 mesi ha avuto un impatto devastante sulle psiche degli adolescenti: quanto influirà nel loro sviluppo questo periodo contrassegnato dalla mancanza di relazioni fisiche e relazionali?
«Possiamo definire l’identità sociale come l’identità che il giovane si crea grazie al contatto con il gruppo dei pari, la dimensione fondamentale per far sì che questo avvenga è il confronto. L’adolescente può appunto mettere a confronto il suo “bagaglio” familiare con la realtà esterna composta non più da una relazione verticale come quella genitori-figli ma da una relazione orizzontale fra pari. Da questo confronto sceglierà ciò che ritiene giusto per sé stesso e costruirà la sua identità, questo sarà anche il momento in cui uscirà dall’adolescenza per entrare nella vita adulta. Venendo a mancare questa possibilità per via delle restrizioni e del lockdown si potrebbero manifestare vari sintomi psichici. Principalmente potrebbe svilupparsi un’ansia da prestazione, dovuta al fatto che l’adolescente, non potendo ampliare i suoi confini a livello relazionale, si troverebbe senza risposte e senza reazioni adeguate di fronte a nuove situazioni di vita. Potrebbe sviluppare forte insicurezza e da qui una vera e propria angoscia che lo porterebbe a non affrontare tali situazioni perché non si ritiene adeguato, all’altezza o teme costantemente di tenere un comportamento o un atteggiamento errato. Da non escludere anche una sintomatologia di tipo depressivo caratterizzata dal procrastinare comportamenti di isolamento sociale iniziati forzatamente in lockdown e proseguiti per scelta, accompagnati da mancanza di motivazione e di stimoli e da una generale apatia».

Il bullismo oramai è divenuto un argomento ampiamento trattato da scuola ed istituzioni: nonostante questo come mai ancora le pagine di cronaca si riempiono di episodi simili? Quale strategie per contrastarli efficacemnete?
«La risposta lega le due domande. Il bullismo, purtroppo, è un fenomeno ancora molto presente nelle fasce giovanili, nonostante la scuola e altre istituzioni abbiano a più riprese sostenuto campagne di comunicazione e informazione per disincentivare e denunciare tale comportamento. L’assenza di riscontri significativi a questi messaggi è legata a chi dà l’informazione. Solitamente gli adolescenti tendono a vedere le istituzioni come “luoghi” degli adulti a loro troppo lontani ed estranei, perciò eludono le comunicazioni provenienti da esse. La logica risponde ad una dimensione presente anche nei comportamenti quotidiani degli adulti: se non mi fido di chi parla non ascolterò ciò che dice anche se fosse la questione più giusta al mondo. Questo succede nei giovani nei confronti di qualsiasi tipo di istituzione. Partendo da questo punto già da alcuni anni, la peer education, l’educazione tra pari, si sta dimostrando il mezzo di elezione per il contrasto al bullismo. Questa strategia si basa sul fatto che sia un adolescente a trasmettere un messaggio ad altri adolescenti, favorendo una comunicazione più efficace ed incisiva poiché viene da un pari a cui i giovani tendono a prestare più attenzione perché è “uno di loro” vicino, presente, che conosce le loro problematiche poiché le vive anche lui/lei. Nonostante i risultati dell’applicazione di tale strategia parlino di successi incoraggianti viene poco usata per vari motivi fra cui possiamo annoverare fra i principali un atteggiamento di relativa sfiducia degli adulti nelle capacità relazionali degli adolescenti ed una scorretta applicazione del metodo, troppe volte considerato come “ultima spiaggia” laddove invece ci sarebbe bisogno di una vera e propria cultura di educazione tra pari; la cui corretta applicazione prevede, inoltre, di cambiare le figure degli interlocutori, in base alle situazioni e alle problematiche, proprio perché la peer education non si basa sull’individuare i giovani “migliori” e fare di loro dei piccoli maestri ma sostiene un vero e proprio protagonismo di tutti i soggetti coinvolti, che si troveranno nella posizione intercambiabile di educati ed educandi all’interno dello stesso contesto».


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