Pesaro

Coronavirus, i ristoratori di Pesaro: «Il delivery non basta, ci sia una deroga dalle 19 alle 21 per la consegna del menu»

I rappresentanti del comparto hanno incontrato il prefetto. Ippaso della Confcommercio: «La metà rischia di non riaprire». Di Remmigio: «Non saremo un pronto soccorso, test per l'entrata»

PESARO – Ristoratori, baristi, albergatori. Una categoria che in provincia di Pesaro conta circa 8000 lavoratori dipendenti più altre migliaia di collaboratori. Una categoria che ha chiesto un incontro urgente al Prefetto Vittorio Lapolla perché la situazione è molto difficile a causa dell’emergenza Coronavirus. Tutti chiusi, solo alcuni aperti per le consegne a domicilio. Una crisi senza precedenti.

«Il prefetto ci ha ascoltato immediatamente – spiega Davide Ippaso, segretario della Confcommercio, assieme a una delegazione di ristoratori di Pesaro e Fano -. Abbiamo esposto le problematiche del settore, un comparto abbandonato dalla cassa integrazione perché nessuno ad oggi ha ricevuto soldi. Il settore che rischia più di tutti, perché oltre ai mesi di chiusura dovrà affrontare le difficoltà di riaprire in condizioni restrittive. Ci saranno meno tavoli, ingressi contingentati, meno lavoro.
Stimiamo che tutto il comprato di alberghi, bar, ristoranti e terziario occupa circa 20 mila persone in provincia. E temiamo che il 60% di attività che non riuscirà ad aprire. Sono cifre allucinanti. Ci sono imprenditori già indebitati, altri che hanno iniziato da poco e non sono rientrati degli investimenti. Le condizioni lavorative saranno proibitive».

E continua: «Abbiamo fatto capire al prefetto la portata di una crisi che parla di migliaia di posti di lavoro a rischio, dunque disoccupazione, calo di reddito e di conseguenza dei consumi. È rimasto molto colpito dalla nostra esposizione. Abbiamo parlato come dei figli a un padre di famiglia, senza polemiche ed esagerazioni dello scenario futuro. Tra le nostre proposte quella di concedere una deroga appena possibile, nella fase 2, di consentire alle persone di uscire tra le 19 e le 21 a ritirare il proprio menù al ristorante con tutti i presidi di sicurezza del caso: guanti, maschere, orario prestabilito, soldi già contati. Non possiamo più aspettare il delivery, ci sono tante difficoltà, le persone chiedono consegne allo stesso orario e non è facile avere chi consegna libero. È un settore che conta 1 miliardo di euro di fatturato in provincia di Pesaro. E se non funziona un ristorante non funziona la filiera della pesca, della verdura, della macelleria, del latticino, delle materie prime. Dobbiamo salvare più attività possibile».

All’incontro anche Mario Di Remigio, presidente ristoratori Confcommercio della Provincia di Pesaro: «Siamo frustrati, non sappiamo come programmare la ripresa perché siamo di fronte all’incertezza. Ci ritroveremo almeno un 60/80% fatturato in meno viste le nuove normative sui posti a sedere. Arriveremo a dover licenziare persone che per noi sono come dei familiari, ma non avremo alternative. Stimiamo almeno 5000-6000 persone a casa tra ristoratori bar e alberghi. Un impatto sociale altissimo. Tra le prime richieste quella di integrare la cassa integrazione almeno fino a fine anno per non perdere il nostro patrimonio di professionisti. In più concessione di prestiti più facili: c’è troppa burocrazia, la fase istruttoria è lunga e i tassi di interesse sono tra l’1,5% e il 2%».

Di Remigio chiede anche la «rinegoziazione dei debiti pregressi altrimenti non riusciremo a sostenere le rate. Servono scadenze lunghe».

Infine come entrare al ristorante: «La salute prima di tutto. Ma un ristorante non può assomigliare a un pronto soccorso. Si deve stare bene e tra amici. I nostri avventori ci devono assicurare che non siano infetti, ci devono essere dei test per poter far stare tutti tranquilli».

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