Pesaro

Alex Schwazer racconta la vita Dopo il traguardo: «Il segreto della felicità sta nella semplicità». Intervista all’ex campione olimpico

Abbiamo incontrato il marciatore oro nella 50 km a Pechino, protagonista di una controversa vicenda di doping ora archiviata. «Scuse non sono mai arrivate ma conta più l’opinione delle persone che conosco e frequento»

Alex Schwazer si racconta
Alex Schwazer si racconta

FANO – Tra i nomi più importanti che hanno animato il palco di Passaggi Festival di Fano spicca quello del marciatore Alex Schwazer, campione olimpico nel 2008 e poi protagonista di una controversa vicenda di doping ora archiviata, ma che lo costringe ancora lontano dalle gare. L’ex campione olimpico, oro nella 50 km a Pechino 2008, è stato tra i protagonisti della kermesse fanese dove ha presentato il suo libro Dopo il traguardo.

Lo sport ti ha dato tanto ma ti ha anche tolto molto: quale è oggi il tuo rapporto con questo universo?
«Lo sport continua ad essere una parte importante della mia quotidianità. Come lavoro seguo degli atleti amatori; non mi piace chiamarmi allenatore ma di fatto faccio questo. E poi tutt’ora, quando posso, mi alleno per mantenermi in forma. Lo sport mi ha dato tanto e continua a darmi tanto. Certo, mi ha tolto qualcosina ma mi piace sottolineare tutto quello che ho ricevuto da questo mondo».

Ai tempi della tua esclusione poco prima di Rio, numerosi atleti italiani ti hanno attaccato apertamente: dopo che la giustizia ha fatto emergere la verità sono arrivate le loro scuse?
«Francamente non lo so… in tutta verità con gli atleti di vertice io non ho più alcun contatto più o meno da prima delle Olimpiadi di Rio. Va detto che si tratta di un’altra generazione di sportivi… scuse non sono mai arrivate ma conta più l’opinione delle persone che conosco e frequento. Ti posso dire che da loro non ho mai avuto attacchi: quando ci si conosce, si conoscono bene le persone, le proprie storie ed i fatti si è più cauti nei giudizi; purtroppo al giorno di oggi pochi ascoltano ma molti danno subito il loro giudizio, spesso conoscendo solo una parte dei fatti o avendo una conoscenza superficiale di quanto successo».

A livello comunicativo il caso Alex Schwazer è stato un qualcosa di particolare. C’è stato un momento in cui sei stato letteralmente demonizzato e, anche dopo aver pagato per il tuo errore, è rimasto un certo accanimento da una parte consistente dei media.
«Capita che qualche volta qualcuno possa pagare di più del dovuto per i propri sbagli. La storia anche sportiva ci riporta diversi esempi. Probabilmente sì, un qualcosina in più rispetto i miei errori ho pagato. Per quello che mi riguarda in quegli anni di battaglie legali ero molto concentrato su di me e sulla volontà di dimostrare la mia innocenza per quello che riguardava la squalifica pre-Rio».

Quale consideri il momento più alto e quello più basso della tua parabola sportiva?
«Difficile da dire: io non vedo la vita e lo sport solo ed esclusivamente in base ai risultai delle gare… il mio amore per questo sport è nato da giovane, quando mi allenavo di fatto da solo per pura passione e sono andato avanti così per anni… la quotidianità dell’allenamento, soprattutto agli inizi, era qualcosa di molto, molto bello… Tra le cose negative sicuramente la persona che ero diventato prima dell’Olimpiade di Londra: tutte le persone che soffrono o hanno sofferto di depressione nella loro vita sanno cosa vuol dire… è stato senza dubbio il punto più basso».

Quale è il tuo rapporto con la vittoria e la sconfitta e come è cambiato nel corso di questi anni?
«È una domanda molto difficile. Come ti dicevo prima, a me, più che le gare, è sempre piaciuto molto, e mi piace ancora, l’allenamento… non so spiegarti neanche perché. Per me le gare sono arrivate dopo: cioè, sono diventato professionista e dovevo farle, però per me lo sport, il piacere, non era tanto nella vittoria in sé ma nella parte che la precedeva, nella preparazione…Ovviamente la medaglia d’oro di Pechino è stato il risultato più importante della mia carriera: vincere le Olimpiadi per un atleta è il risultato massimo a cui si può ambire… ma la soddisfazione io la trovavo nella preparazione».

Dal tuo libro traspare una costante ricerca della felicità: lo sport sembra un mezzo per raggiungerla. Sei riuscito alla fine a trovarla? Che cos’è per Alex Schwazer oggi la felicità?
«Sì, sono una persona soddisfatta anche grazie alle esperienze che ho fatto e che mi hanno fatto diventare l’uomo che sono rispetto al ragazzo che ero. Io sono di fatto sempre poco soddisfatto di quello che si raggiunge nella vita professionale… o meglio, mi rimane sempre una certa “fame” per cui non mi adagio sul risultato centrato ma penso subito al prossimo obiettivo, credo sia una cosa del mio carattere. Oggi per me la felicità sono le cosiddette piccole cose di ogni giorno: sono quelle che fanno la differenza. Purtroppo il mondo dello sport che ti fa focalizzare sulle gare, sulle prestazioni, rischia di fartele perdere di vista… non le vedi più ed invece la felicità è li: mia moglie, i miei figli… una felicità totalizzante che prima non avevo. Sono una persona molto semplice che si accontenta della quotidianità. Ti faccio un esempio: dalle mie parti ci sono i cosiddetti montanari, gente che ha vissuto quasi tutta la propria vita in mezzo ad un gregge, le loro giornate spesso si susseguono uguali e scandite dalle stagioni eppure sono molto, ma molto più soddisfatti di tante persone che sono indaffarate nei loro business ecc… vedi, le piccole cose contano e tanto. Il problema è che oggi conta più apparire che essere, i social ne sono l’esempio. Si fanno delle cose solo ed esclusivamente con l’obiettivo di mostrarle agli altri, si corre il rischio di perdere il senso».

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