Osimo

Gabriele, un osimano in Corea del Sud: «Vi racconto il Coronavirus da qui»

Da sette anni si è stabilito nel Paese asiatico per motivi di lavoro. Qui l’epidemia sembra ormai essere sotto controllo grazie a un mix di tecnologia e controlli su larga scala. Ecco la sua storia

La fermata della metro a Seoul.

OSIMO – Un’applicazione sui telefonini per controllare gli spostamenti e oltre 300 mila tamponi fatti anche agli asintomatici. Così la Corea del Sud, il Paese più colpito dopo la Cina nel sud est asiatico con oltre 8500 contagi, sembra aver arginato l’avanzata del Coronavirus dopo tre mesi di epidemia. Ancora è presto per abbassare la guardia e il livello di attenzione resta ancora elevato, ma la popolazione fa le prove con un graduale ritorno alla normalità. Ecco il racconto di Gabriele Sernani, 34enne osimano da circa sette anni residente in Corea del Sud. «Dove mi trovo io, a Seoul, la situazione in questo momento è abbastanza tranquilla – ci spiega – qui c’è soltanto il 3 per cento circa dei contagiati su una popolazione 11 milioni di abitanti. Il focolaio principale si trova a Daegu, la quarta città del Paese, che si trova più a sud».

Da quanto tempo ti trovi in Corea del Sud?
«Sono qui da circa 7 anni e lavoro come agente di commercio per un’azienda italiana che opera nel sud est asiatico e si occupa di import-export nel settore mobili e dell’edilizia. Sono laureato in Lettere all’Università di Bologna e in Scienze Politiche con un master in Relazioni Internazionali conseguito alla Yonsei University di Seoul e ho fatto due corsi di lingua coreana. Tutto il mio percorso di studi in Corea del Sud è stato finanziato da borsa di studio, prima dal Ministero degli Esteri e poi dal Governo».

Quando sono iniziati i primi casi di contagio?
«Il primo caso è stato il 20 gennaio. Tutto è iniziato molto lentamente. All’inizio sono arrivate le prime notizie dalla Cina, poi tutto è esploso quando si è scoperto che a Daegu c’era un focolaio all’interno della comunità religiosa dello “Shincheonji”, molto numerosa in città, dopo che alcuni loro adepti erano tornati da un viaggio a Wuhan in Cina. Dalle notizie che ho, i capi di questa comunità sono accusati di aver taciuto sui contagi dei loro membri e di aver loro imposto il silenzio. Sta di fatto che il 73 per cento dei contagiati coreani si trova proprio a Daegu».

Quali sono state le misure attuate dal Governo?
«Appena è iniziata a diffondersi l’epidemia in Cina lo Stato Sud Coreano ha ordinato alle aziende farmaceutiche nazionali di aumentare la produzioni di tamponi. Qui sono stati fatti tantissimi test gratuiti a tutti, anche agli asintomatici, in modo da scovare subito i positivi e isolarli. C’è poi l’applicazione da scaricare sul proprio cellulare con cui il Governo controlla i tuoi spostamenti. Ti arriva un sms per ogni nuovo caso che viene accertato in un raggio di 30 chilometri rispetto al tuo domicilio. Ti avvisano se c’è una persona della tua zona che è risultata positiva al Coronavirus, dove abita e in quale ospedale si trova in quel momento. Se vuoi approfondire c’è un sito internet in cui puoi conoscere alcune informazioni come il sesso, l’età della persona e tutti gli spostamenti che ha fatto negli ultimi 3 giorni. Ovviamente l’identità non viene rivelata, ma puoi renderti conto se potenzialmente ci sei stato a contatto.  
Poi si ricorre molto al “drive-thru”, più o meno seguendo la procedura di come si acquista un panino da McDonald’s, rimanendo in macchina. Ti danno un foglio da compilare con delle informazioni, fai il test e poi ti arriva il risultato».

Si fa ampio uso anche delle mascherine ?
«Qui la mascherina è all’ordine del giorno, lo era già da prima per il problema delle polveri sottili e si usavano abitualmente, è un qualcosa ormai di culturalmente accettato. Quando sono iniziati i primi casi di Coronavirus il Governo ha bloccato le esportazioni all’estero di mascherine, le ha fatte produrre in massa alle aziende del proprio Paese e le ha distribuite in maniera capillare su tre canali: le farmacie, gli uffici postali e la grande distribuzione. In base all’anno in cui sei nato puoi andarla a ritirare in un giorno diverso della settimana e costano 1 euro ciascuna e ne puoi prendere al massimo 2 a testa. Per sapere dove trovarle c’è un’applicazione che ti dice chi ha ancora le ha a disposizione, quante ce ne sono e gli orari di apertura per andare a prenderle. Qua le soluzioni disinfettanti sono ovunque. Entri al ristorante e appena arrivi ti mettono sulle mani l’equivalente della nostra Amuchina. Anche in questo caso le aziende interne che la producono non possono esportarla e il Governo ha imposto alla aziende produttrici di alcol di riconvertire la loro produzione in gel e soluzioni igienizzanti».

Ci sono zone rosse nel Paese?
«Non ci sono state città o regioni chiuse, nessuna zona rossa, con l’eccezione di un quartiere di Daegu, ma non c’è stata mai una chiusura totale né un obbligo di restare in casa. Però tantissimi messaggi e annunci ovunque sulle norme di precauzione da seguire. Da una settimana a questa parte è partita anche una campagna informativa del Governo che invita a muoversi il meno possibile. L’unica cosa è che verso l’esterno non si vola più e pochi giorni fa hanno chiuso l’aeroporto di Jeju Island, un isola a sud della Corea che è un’importantissima meta turistica del Paese, molto frequentata, ed è stato chiuso per la prima volta dal 1952».

Quindi si continua a lavorare normalmente?
«Non c’è stato mai un blocco totale delle attività economiche, alcune aziende lo hanno fatto di loro spontanea volontà oppure hanno dovuto ridurre la produzione perché ad esempio non arrivavano componenti e forniture dalla Cina. Alcuni giorni fa ad esempio ho avuto un meeting con un’azienda con cui collaboro a Seul, quindi fuori dall’epicentro del contagio. Appena sono arrivato mi hanno dato due mascherine, una per la riunione e un’altra in omaggio. A parte a Daegu, nelle altre città i bar e i cinema sono aperti, logicamente si esce meno soprattutto ora che il Governo invita a farlo il mono possibile. Nei posti sensibili come le palestre, gli ospedali, le università o gli uffici pubblici, ti misurano la temperatura prima di entrare. Questo lo fanno sempre».  

I coreani come hanno accolto le misure del Governo?
«Diciamo che qua le persone sono molto recettive a quello che il Governo dice loro di fare, soprattutto in Paesi come Giappone, Cina e Corea. È un fattore culturale, c’è forse una base di confucianesimo in questo. Ma la Corea del Sud è comunque un Paese libero, non c’è un regime, e ricordo che un milione di persone è sceso in piazza quando c’era da protestare per l’impeachment dell’ex presidente. C’è anche molto dibattito politico, l’opposizione ha polemizzato su alcune scelte del Governo, ma poi le decisioni prese vengono rispettate».  

Nella vicina Corea del Nord invece com’è la situazione?
«Nella Corea del Nord invece non si hanno dati, nessuno comunica nulla. Per cui è praticamente impossibile sapere cosa accade. Ha una popolazione di 25 milioni di persone ma non c’era libertà di muoversi e spostarsi tra le varie zone del Paese già da prima, a prescindere dall’emergenza Coronavirus».

Stai seguendo l’evolversi della situazione italiana?  
«Sì e paradossalmente sono più preoccupato per la situazione in Italia, sia in termini sanitari che per le successiva ricadute sull’economia. Lo vedo come un 11 settembre e non so come potremo uscirne, anche per il futuro dell’Europa. Però al tempo stesso potrebbe essere invece l’occasione per avere una risposta europea ed uscirne fuori più uniti. Speriamo sia così».

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