Macerata

Violenza di genere nel Maceratese, aumentano denunce e archiviazioni

Dal 2012 al 2023 i fascicoli aperti per reati contro le cosiddette fasce deboli sono quasi quadruplicati ma parallelamente sono cresciute le richieste di archiviazione: nel 2022 è avvenuto per più della metà dei fascicoli

Il procuratore Giovanni Narbone

MACERATA – In un decennio nel Maceratese si è passati da 75 fascicoli per reati contro le fasce deboli a 303, le denunce dal 2012 al 2023 sono quasi quadruplicate, ma parallelamente sono cresciute anche le richieste di archiviazione: nel 2022 è avvenuto per più della metà dei fascicoli aperti. Dopo l’ulteriore filtro dell’udienza preliminare in cui diversi procedimenti vengono definiti con riti alternativi (premiali), per quelli che finiscono a dibattimento non tutti si chiudono con la condanna, anzi. Emblematico è il dato del primo semestre del 2023: su 45 processi chiusi dal Tribunale monocratico (quindi per reati come i maltrattamenti non aggravati, lo stalking, le lesioni, le minacce, ecc.) per 14 è stata emessa sentenza di condanna, per 27 di assoluzione o proscioglimento. Perché? I fattori sono tanti, ogni fascicolo – va detto – andrebbe valutato singolarmente, ma in diversi casi accade che quando si arriva a dibattimento la coppia si riappacifica o la vittima che denuncia ritratta, solitamente in parte (il rischio diventerebbe la calunnia), l’accusa si indebolisce e il processo si chiude con l’assoluzione.

Il quadro appena descritto emerge dai dati forniti dal procuratore Giovanni Narbone in occasione della Giornata internazionale della donna. «I numeri delle denunce sono in crescita così come sono in crescita anche le archiviazioni, si tratterebbe di capire per quale ragione», spiega il procuratore prima di iniziare un’analisi che tocca vari aspetti e che parte dal quadro normativo che è in continua evoluzione, «con l’introduzione di norme – prosegue il procuratore – che sono state e possono essere utilissime ma con l’inconveniente che il sistema ha bisogno di stabilità. Se si cambiano continuamente le norme si crea una grande confusione».

A Macerata nell’Ufficio della Procura su un organico di nove magistrati (otto sostituti e il procuratore) due sono specializzati in materia e si occupano da anni dei reati contro le fasce deboli, quindi maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, atti persecutori, revenge porn e tutti gli altri reati che possono essere collegati come lesioni, minacce, estorsione, ecc. I due sostituti specializzati che per via delle ridotte dimensioni dell’Ufficio si occupano anche di altri reati devono affrontare una materia complessa. «Obiettivamente – continua Narbone –, si tratta di andare a mettere l’occhio nel buco della serratura di casa delle persone. E da lì non vedi sempre bene. Ci sarebbe bisogno di una rete parentale che ormai non c’è più, o che qualche volta è totalmente sbilanciata dalla parte dell’uomo (cosa che ad esempio può accadere con più frequenza quando le vittime sono donne straniere, ndr). C’è una difficoltà oggettiva, ma la difficoltà delle difficoltà è capire quale è il caso in cui c’è veramente pericolo». Perché non tutti i casi sono uguali.

Tornando alle statistiche dell’Ufficio emerge che nel 2012 la Procura di Macerata ha iscritto 75 procedimenti per reati contro le fasce deboli. Nel 2014 le notizie di reato sono diventate 214, nel 2018 sono arrivate a 304, poi con il Covid e il conseguente lockdown c’è stata una leggera flessione, i fascicoli aperti sono scesi a 241, saliti a 321 nel 2022 e di nuovo scesi a 303 nel 2023. Dunque, nel giro di un decennio si può dire che le notizie di reato sono quadruplicate. Perché? L’incremento va letto anche considerando l’effetto delle campagne di sensibilizzazione che hanno dato la forza a molte donne di denunciare, cosa che prima accadeva più raramente. «Si parla di “black number” per indicare questo fenomeno – spiega il capo dell’Ufficio –. La mancata denuncia, peraltro si verifica anche oggi. Riteniamo ci sia una parte di reati che non vengono denunciati, quando ero a Pesaro per gli ultimi tre omicidi due non erano stati preceduti da alcuna denuncia, si era trattato di due situazioni assolutamente sconosciute all’Ufficio. La persona – puntualizza Narbone – dev’essere la prima ad aiutarsi e il primo modo per farlo è rivolgersi alle forze dell’ordine».

Ma oggi con l’aumentare del numero delle denunce sono aumentate anche le definizioni dei procedimenti con richieste di archiviazione. Nel 2014 su 252 fascicoli definiti, 96 erano richieste di archiviazione e andando avanti la proporzione è cresciuta: nel 2020 su 271 definiti l’archiviazione è stata chiesta per 100 fascicoli, nel 2022 su 313 ne sono stati archiviati 162, più della metà. «In questi casi – spiega il procuratore – le notizie di reato sono state ritenute non sufficientemente corredate da elementi probatori tali da giustificare il rinvio a giudizio dell’indagato». Per gli altri fascicoli, quelli che vanno nella fase del giudizio, che succede? «Quando i procedimenti si chiudono davanti al gup – continua il procuratore -, la percentuale maggioritaria è dei procedimenti che si chiudono con un rito alternativo anche perché ci sono gli incentivi, sono procedure deflattive (abbreviati e patteggiamenti che consentono di ottenere uno sconto di pena). Quando il procedimento si chiude lì evidentemente è perché il difensore ha ritenuto che non fosse utile andare a dibattimento». Al dibattimento, nonostante il filtro della Procura, c’è un notevole numero di processi che si chiude con una sentenza di assoluzione. Emblematico è il dato del primo trimestre del 2023: a fronte di 45 processi chiusi con sentenza, il Tribunale monocratico ha pronunciato 14 sentenze di condanna e 27 sentenze di assoluzione o proscioglimento. «Ora, ovviamente, su questo va fatta una riflessione – puntualizza Narbone –, perché in molti casi succede che la coppia si riappacifica. Anche su questo si può discutere perché dietro una remissione di querela potrebbe nascondersi una ulteriore sopraffazione nei confronti della donna che ha denunciato il reato». Ma in generale accade che nel corso dell’istruttoria la vittima in parte ritratta e alla fine l’accusa si indebolisce.

La sentenza arriva anni dopo il fatto denunciato e nel frattempo capita che le situazioni si siano modificate. Va ricordato che per questi tipi di reati, da Codice rosso, è prevista la trattazione urgente, ma nonostante l’urgenza ci sono tempi necessari: quelli per svolgere l’indagine che anche a garanzia dell’indagato dev’essere attenta, l’udienza preliminare, il primo grado, l’appello e la cassazione, il tempo passa e la giustizia arriva quando una situazione di conflitto è superata. In altri casi le denunce sono coeve a procedimenti di separazione e lì spesso la difesa dell’imputato è che la denuncia sia strumentale a ottenere migliori condizioni per la separazione. Le storie sono tante e complesse. «Nel fenomeno della violenza di genere – conclude il procuratore Narbone – c’è sicuramente una componente culturale e io ho la speranza che nel tempo supereremo questa difficoltà evidente di molti uomini di affrontare le separazioni. È un fenomeno complesso in cui non basta la risposta che può dare la giustizia. Se la vogliamo vedere così la risposta penale è già una sconfitta perché quando si arriva qui vuol dire che il problema ha già assunto i connotati di una patologia».

© riproduzione riservata