Macerata

L’intervento di sterilizzazione non riesce, l’Asur dovrà mantenere il bambino per 23 anni

Dopo il secondo parto avvenuto all'ospedale di Macerata, all'esito di una gravidanza difficile, la donna si era sottoposta all'intervento. Dolori addominali l'avevano poi spinta a fare un'ecografia: era incinta al quinto mese. Di lì un lungo processo civile

Il tribunale di Macerata

MACERATA – Aveva deciso di sottoporsi a un intervento di sterilizzazione tubarica dopo la seconda gravidanza difficile. Dopo qualche tempo aveva iniziato ad avere dei dolori addominali e, preoccupata, si era sottoposta a ecografia. A quel punto la scoperta: era al quinto mese di gravidanza. Fortunatamente il terzo parto si è svolto serenamente ma la mamma ha fatto causa all’Asur che di recente è stata condannata a pagare un risarcimento di 138mila euro per il mantenimento del terzo figlio fino al 23° anno d’età (ovvero fino alla maggiore età, più cinque anni di università), quantificato in 500 euro al mese. Il giudice Umberto Rana ha anche riconosciuto alla madre il danno biologico quantificato in 14mila e 700 euro. L’Asur ha scelto di non impugnarla in Appello e ora la sentenza è diventata definitiva.  

La vicenda risale a più di dieci anni fa, protagonista, suo malgrado, una famiglia che vive in un comune della provincia di Macerata. La coppia aveva già un figlio e lei era incinta del loro secondo bimbo. La nuova gravidanza però era stata particolarmente complessa, alla fine si era conclusa positivamente ma anche su consiglio dei medici la donna, trentenne all’epoca, aveva deciso di evitare nuove gravidanze. Per lei infatti il secondo parto aveva comportato un terzo taglio cesareo perché da giovane, per problemi di salute, era stata costretta a sottoporsi a un intervento chirurgico per il quale era stato necessario praticare un taglio. Dopo il secondo parto avvenuto all’ospedale di Macerata, la mamma si era quindi sottoposta a un intervento di sterilizzazione tubarica praticato con una tecnica molto diffusa, denominata di Pomeroy. Passò qualche tempo e la donna iniziò ad avere dolori al livello addominale, soprattutto di notte e preoccupata decise di effettuare un’ecografia per capire quale fosse l’origine di quei dolori. A quel punto la scoperta: era incinta, al quinto mese.

Contraria all’aborto che comunque ormai non avrebbe neanche potuto più praticare, decise di portare avanti la gravidanza conclusa senza problemi né per lei né per il figlio. Qualche tempo dopo la donna si rivolse a un legale, l’avvocato Laura Antonelli, attraverso la quale tentò una conciliazione con l’Asur che però non approdò a un accordo. Fallita la via stragiudiziale, il legale promosse una causa civile contro l’Azienda sanitaria, causa che tra rinvii, cambi di giudici e in ultimo il Covid andò avanti per anni. Nel corso dell’istruttoria fu disposta una consulenza tecnica: il ctu non riuscì a stabilire se l’intervento fosse stato eseguito bene o male perché mancavano dei dati sulla documentazione a sua disposizione. Poté però concludere che la scelta del tipo di intervento sarebbe potuta ricadere su altre tecniche che hanno margini di insuccesso più esigui, come quella di Irving con una percentuale di insuccesso pari allo zero. All’esito dell’istruttoria il giudice ha condannato l’Asur. Ora la sentenza è diventata definitiva.

Ti potrebbero interessare