Macerata

Porto Recanati, frode fiscale per 10 milioni di euro: denunciati 10 imprenditori

La Guardia di Finanza con l'operazione “Domino cinese” ha smascherato un articolato intreccio di aziende anche fuori regione. Rilevati 55 lavoratori irregolari

La Guardia di Finanza di Porto Recanati

PORTO RECANATI – I finanzieri della Tenenza di Porto Recanati hanno concluso un’operazione, denominata “Domino cinese”, che ha permesso di smascherare un articolato intreccio di aziende coinvolte, a vario titolo, in una maxi frode fiscale di oltre 10.000.000 di euro nonché in plurimi illeciti in materia di lavoro e di normativa antiriciclaggio. Denunciati 10 imprenditori, tra cui un italiano. Disposto il sequestro di beni per euro 4.200.000. L’operazione è stata coordinata dal Procuratore della Repubblica Giovanni Giorgio.

La capillare indagine, che ha interessato, in particolare, 11 imprese operanti nel settore della lavorazione delle tomaie, si è sviluppata attraverso il minuzioso esame delle contabilità aziendali e dei conti bancari dei titolari. Questo ha permesso di scovare una serie di condotte illecite sia di natura fiscale sia di carattere penale.

Ammonta, infatti, ad oltre 10.000.000 di euro, la base imponibile ai fini delle imposte sui redditi complessivamente evasa, mentre l’imposta sul valore aggiunto sottratta è di oltre 2.500.000 euro. Le inadempienze in materia di lavoro, invece, hanno portato all’individuazione di 55 lavoratori dipendenti irregolari e all’omesso versamento di ritenute per oltre 40.000 euro.

MODUS OPERANDI
Il sistema di frode consisteva, in sostanza, nell’utilizzare partite Iva di imprenditori inconsapevoli, sia italiani che cinesi, per mezzo delle quali fatturare prestazioni per orlature di tomaie che, in realtà, erano fornite “in nero” da altre imprese gestite da cinesi. In questo modo non veniva di fatto corrisposta l’Iva da parte dell’impresa committente: mentre l’impresa che effettivamente eseguiva i lavori percepiva il corrispettivo della prestazione senza assoggettarlo a tassazione.

Questo ha consentito a queste ultime imprese di porsi sul mercato in regime di “concorrenza sleale”, ovvero – potendo praticare prezzi altamente competitivi – in una posizione di vantaggio rispetto alle altre aziende che operano osservando le regole.

I pagamenti delle prestazioni non fatturate venivano regolati per contanti, con prelevamenti effettuati sui conti bancari di due imprese “filtro” ovvero intestati a una persona fisica. In proposito, sono stati accertati trasferimenti di denaro contante, in violazione alla normativa antiriciclaggio, per circa 800.000 euro, che hanno portato alla contestazione di sanzioni amministrative per circa 300.000 euro e alla denuncia di una persona per uso improprio dei conti bancari.

Il tutto ruotava intorno ad un imprenditore italiano, dominus del sistema di frode, ma a loro volta i soggetti cinesi, al fine di ridurre ulteriormente il loro carico fiscale, già abbondantemente eroso per effetto dell’omessa fatturazione e dichiarazione delle prestazioni effettuate, hanno utilizzato fatture per operazioni inesistenti emesse da altre imprese, sempre di persone di origine cinese: autoprodotto fatture false, quantificate in circa € 900.000.

Inoltre, passati pochi anni dall’inizio delle attività, alcune imprese hanno cessato la partita Iva, omettendo di presentare le prescritte dichiarazioni annuali delle imposte ed il titolare si è reso irreperibile sul territorio nazionale, facendo ritorno in Cina.

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