Macerata

Pillole di filosofia con la prof Fermani, Unimc: «La felicità? È il senso ultimo della vita»

La vita, una strada di dolori alla ricerca della felicità. Parla l'esperta, autrice del libro ˊAristotele e l’infinità del maleˊ

«Cercatela, tutti i giorni, continuamente. Chiunque mi ascolta ora si metta in cerca della felicità. Ora, in questo momento stesso, perché è lì. Ce l’avete. Ce l’abbiamo. Perché l’hanno data a tutti noi. Ce l’hanno data in dono quando eravamo piccoli. Ce l’hanno data in regalo, in dote. Ed era un regalo così bello che l’abbiamo nascosto come fanno i cani l’osso, che lo nascondono. E molti di noi lo fanno così bene che non si ricordano dove l’hanno messo. Ma ce l’abbiamo, ce l’avete. Guardate in tutti i ripostigli, gli scaffali, gli scomparti della vostra anima. Buttate tutto all’aria. I cassetti, i comodini che c’avete dentro. Vedrete che esce fuori. C’è la felicità. […] E anche se lei si dimentica di noi, non ci dobbiamo mai dimenticare di lei. […] Non bisogna mai aver paura di morire ma di non cominciare mai a vivere davvero».

Questo è il monologo perfetto di Roberto Benigni, in cui tutti noi, almeno una volta nella vita, siamo incappati nei social. E chissà cosa direbbero i filosofi antichi della felicità, quale augurio ci farebbero per il 2024 che è alle porte. Ne abbiamo parlato con Arianna Fermani, docente di storia della filosofia antica all’università di Macerata (Unimc) e autrice, tra l’altro, del libro ˊAristotele e l’infinità del maleˊ.

La docente Arianna Fermani

«Certamente la felicità, la vita felice rappresenta l’obiettivo che i classici, da Aristotele a Platone, si pongono. Platone dice che è il termine ultimo di ogni esistenza. E gli fa eco Aristotele. Un grande insegnamento di filosofi antichi che varrà in eterno. Non ci sono uomini e donne che non vogliono essere felici, come dirà in seguito Pascal. ˊTutti vogliono essere felici, anche coloro che si impiccanoˊ».

«È una sorta di piattaforma comune degli esseri umani, il desiderio di una vita piena, realizzata, compiuta – prosegue la prof – In questo senso, la felicità è davvero il senso della vita. Ma come, per gli antichi, questo scopo può essere realizzato? Certamente la felicità non consiste nel fatto di ridere, in un’emozione così effimera e puntuale. Perché la vita è attraversata da tanti dolori, come le guerre a cui assistiamo a livello politico. L’attualità – riflette la docente – è piena di disastri. Pensiamo al conflitto israelo-palestinese, o a quello russo-ucraino. E a una serie di crisi individuali, sociali, politiche, economiche. Gli antichi servono a capire che non è a prescindere da queste disarmonie che la vita umana dal punto di vista individuale e collettivo può essere realizzata».

«Noi dovremmo piuttosto realizzare una vita piena e felice come esseri umani, facendo risuonare le disarmonie. Nessuna vita umana è esente da elementi che mettono a repentaglio l’ordine. E come si fa in un’orchestra o in un coro, in cui ogni voce è chiamata a suonare il proprio spartito, o come in un quadro, fatto di luci e ombre, l’armonia più bella nasce anche dall’armonizzazione delle disarmonie. Lo diceva Eraclito. L’armonia più bella nasce e passa dalla disarmonia. E diceva pure che la guerra è la madre e la regina di tutte le disarmonie, che non significa che sia un bene».

«La guerra è (e resta) un male – prosegue – Gli elementi di lacerazione della nostra vita, le disgrazie. Se ci pensiamo – continua Fermani – in ogni momento la nostra vita è attraversata dal dolore. Ma noi siamo chiamati a rendere bella la nostra esistenza nonostante tutto. Come? Con l’impegno. Bisogna impegnarsi per essere felici. La felicità consiste nel vincere una partita, nel giocare bene, nell’usare al meglio le carte che ci capitano, nell’avere il senso del limite, nel non mirare all’ottimo, perché non siamo Dio, non siamo perfetti, abbiamo moltissimi limiti. Aristotele diceva che ˊcome un calzolaio che realizza la calzatura migliore col cuoio che ha a disposizione, così noi partendo dai nostri limiti e fragilità dovremmo impegnarciˊ. E ne vale la pena perché non abbiamo una manche di riserva».

Arianna Fermani

«ˊFermo restando che il male è sempre più del bene, che il male ha la natura dell’infinitoˊ, dice Aristotele ricordando l’antica lezione dei pitagorici. E il male si dà in tante forme. Quindi Aristotele non è affatto un pensatore così pacificato, come spesso si afferma. Il male nella sua filosofia gioca un ruolo fondamentale, ma concentrandoci sul male morale si deve dire come il male noi lo facciamo e lo patiamo in tanti modi nella vita. Come dolore, come disgrazie e come sventure. E di questi tipi di male in larga parte non siamo responsabili. Mentre siamo responsabili del male agito e compiuto, quello che facciamo in tanti modi».

«E il male alla massima potenza è il vizio – fa notare la prof – un dato immortale, purtroppo. Viziosi non si nasce ma si diventa. Si diventa facendo scelte sbagliate, abituandosi in un certo modo. Si è viziosi quando la vita prende una brutta piega. Aristotele, di vizi, ne cita molti. Tra questi, la superficialità, il mirare esclusivamente all’apparenza. Che gli antichi insegnano che non sempre inganna, ma può essere un modo per velare la verità, una forma di distrazione rispetto a noi e ai nostri compiti. Mirare esclusivamente all’apparenza ci impedisce di fiorire a pieno. La lezione degli antichi può tornarci utili come augurio per il nuovo anno. Che sia luminoso e felice – l’auspicio di Fermani – e che possiamo realizzare la felicità, la vita piena, la vita fiorita, la vita espansa».   

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