Macerata

Omicidio di Pamela Mastropietro, i dubbi della Cassazione sulla violenza sessuale

Ieri pomeriggio sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui i giudici romani hanno parzialmente accolto il ricorso dei difensori del 32enne nigeriano Innocent Oseghale rinviando alla Corte d’Assise d’Appello di Perugia limitatamente all'aggravante della violenza sessuale

MACERATA – Omicidio di Pamela Mastropietro. Ieri pomeriggio sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui i giudici di Cassazione hanno parzialmente accolto il ricorso dei difensori del 32enne nigeriano Innocent Oseghale (condannato in primo e secondo grado all’ergastolo), gli avvocati Umberto Gramenzi e Simone Matraxia, rinviando alla Corte d’Assise d’Appello di Perugia. In primo e secondo grado al centro del dibattito processuale c’erano stati due punti: le cause della morte da un lato e dall’altro l’esistenza o meno di costrizione o approfittamento delle condizioni della 18enne in relazione al rapporto sessuale. La ricostruzione dell’omicidio volontario, aggravato dalla violenza sessuale (la violenza sessuale è stata ritenuta assorbita nella circostanza aggravante del delitto di omicidio), come ricordato dai giudici romani, si è basata sulla combinazione tra dati di prova scientifica e medico-legale (individuazione delle lesioni quando Pamela era ancora in vita) e dati di prova logica di tipo indiziario.

Per quanto riguarda la violenza sessuale, unico motivo di ricorso accolto dalla Cassazione, il nigeriano inizialmente aveva negato di aver consumato con la 18enne un rapporto sessuale (non protetto), ammettendo la circostanza solo a seguito dei risultati dei complessi esami biologici effettuati sui resti della vittima (lavati con la candeggina proprio per cancellare le tracce) per poi collocare il rapporto ai Giardini Diaz prima che la giovane assumesse la dose di eroina, mentre per la Procura il rapporto era avvenuto in casa in via Spalato dopo aver consumato la droga. Non solo. Per la difesa si sarebbe trattato di un rapporto consenziente come i precedenti, dopo l’allontanamento dalla comunità terapeutica, infatti, la giovane aveva avuto rapporti protetti consenzienti con altre due persone. Dunque, i giudici romani evidenziano come un tema controverso sia stato proprio quello dell’esistenza o meno del consenso al rapporto e della individuazione del luogo in cui sarebbe avvenuto.

In primo grado i giudici della Corte d’Assise di Macerata hanno ritenuto che il rapporto sessuale era avvenuto all’interno dell’appartamento e non poteva essere stato consenziente anche per le modalità in cui era avvenuto (senza l’uso del preservativo) e della complessiva condizione sia fisica della giovane (aveva assunto eroina) sia psichica (soffriva di problemi di natura psichica). Per i giudici maceratesi «la verosimile opposizione della Mastropietro a un rapporto “non protetto” – scrive la Cassazione – sarebbe stata vinta dall’Oseghale approfittando della condizione di alterazione della vittima dovuta all’assunzione della sostanza in una condizione di patologia psichica di fondo». L’omicidio sarebbe quindi scaturito dal timore che la 18enne, una volta ripresasi, l’avrebbe potuto denunciare.
In secondo grado cos’è successo? Non è stata svolta attività istruttoria ulteriore (è stata respinta la richiesta di una perizia sui resti della 18enne) e la decisione è stata presa sulla base degli elementi già emersi in primo grado. Per la Corte di Assise di Appello di Ancona, Oseghale aveva inizialmente negato il rapporto sessuale con Pamela perché dopo aver asportato le parti intime e aver lavato i resti con la candeggina era convinto di aver cancellato ogni traccia. E questo per i giudici avvalora la tesi della non consensualità del rapporto, perché non protetto. Proprio il rifiuto della ragazza a consumare un rapporto non protetto avrebbe determinato la reazione violenta di Oseghale – agevolata dalla condizione di inferiorità della giovane correlata all’assunzione della sostanza – che l’avrebbe colpita con due fendenti all’altezza del fegato. Il rifiuto del rapporto sessuale non protetto e la successiva violenza sessuale, in secondo grado, diventa dunque il movente della lite e poi dell’omicidio.

Da sx gli avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi

Nel ricorso in Cassazione presentato dai legali del nigeriano, gli avvocati Umberto Gramenzi e Simone Matraxia hanno evidenziato un’erronea applicazione della legge e un vizio di motivazione. Per la difesa, infatti, inizialmente era stata ipotizzata sia la costrizione fisica che l’approfittamento della condizione di inferiorità dovuta all’assunzione di eroina, con l’inserimento nella decisione di primo grado anche nell’approfittamento della condizione di patologia psichica della giovane che formalmente non era stata contestata. La ricerca di un movente avrebbe quindi portato a ipotizzare l’assenza di un consenso al rapporto sessuale. Per i legali il lavaggio dei resti di Pamela con la candeggina non sarebbe avvenuto per cancellare i segni di una pregressa violenza, ma per evitare di essere identificato, e illogico per i difensori sarebbe ipotizzare che il nigeriano fosse contrario ad avere rapporti sessuali protetti.

Cosa dicono i giudici romani sul punto della violenza sessuale?
«Ad essere decisivo, secondo la Corte di secondo grado è il tipo di rapporto (non protetto) che Oseghale avrebbe imposto alla Mastropietro, ricevendone un diniego. Nella struttura logica della decisione di secondo grado “riprende valore” il possibile consenso, ma diventa decisiva la opposizione alle modalità del rapporto. Si tratta, come evidenziato nei motivi di ricorso, di una lettura fortemente assertiva della pur possibile (ma in realtà sconosciuta) dinamica concreta della relazione interpersonale, tesa da un lato ad attribuire (anche in ragione di quanto avvenuto nella giornata precedente) capacità di scelta e di orientamento cognitivo alla Mastropietro, dall’altro ad introdurre l’opposizione alle modalità del rapporto, sì da giustificare la reazione “violenta” dell’Oseghale». «La ricerca del movente del gesto omicidiario, pur apprezzabile, non si fonda tuttavia su acquisizioni probatorie di tale portata da sostenerla, ben potendosi ipotizzare un ventaglio di ipotesi alternative plausibili e tali da ricondurre il gesto delittuoso a una diversa radice. Solo nella parte della decisione di secondo grado dedicata alla trattazione della questione processuale in tema di correlazione tra contestazione e decisione la Corte di Assise d’Appello in modo peraltro contraddittorio pare nuovamente asseverare la tesi del vizio “assoluto” del consenso dovuto alla condizione di menomazione psichica. Risulta dunque fondata la deduzione di contraddittorietà e di illogicità di tale punto della ricostruzione, formulata al quarto motivo di ricorso. Ciò perché pure in un contesto ricostruttivo reso estremamente difficile dalla scarsità degli elementi cognitivi sul fatto (non apparendo attendibile la versione dell’imputato, tardiva e inverosimile rispetto al luogo di consumazione) va rilevato che la decisione impugnata non scioglie in modo comprensibile il nodo relativo alla validità o meno in assoluto del consenso al rapporto e non fortifica, per converso, l’ipotesi del dissenso al rapporto non protetto attraverso se del caso un supplemento istruttorio teso a coinvolgere soggetti che erano poco prima entrati in contatto con la Mastropietro». Sul punto dell’aggravante della violenza sessuale dovranno dunque esprimersi i giudici della Corte di Assise di Appello di Perugia.

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