Macerata

Omicidio di Alika, la mamma di Ferlazzo: «Filippo è particolare, non tutti sono in grado di capirlo»

Nel processo celebrato in Corte d'Assise sono stati sentiti anche il datore di lavoro dell'imputato, la direttrice del carcere di Montacuto e un testimone oculare dell'aggressione

Il tribunale di Macerata

CIVITANOVA – Il passato di Filippo Ferlazzo, tra i problemi di tossicodipendenza, i ricoveri in strutture e in comunità e presunte violenze subite, è stato rievocato oggi in aula dalla madre, sentita come testimone nel processo a carico del figlio 32enne accusato dell’omicidio volontario del nigeriano di 39 anni Alika Ogorchukwu (e di rapina) avvenuto il 29 luglio scorso in corso Umberto I a Civitanova. «Nel mio possibile – ha detto la madre che è anche amministratrice di sostegno del figlio – ho cercato di stargli vicino. Tutti i Tso, le comunità, i percorsi psicologici li abbiamo fatti insieme. Io speravo che i medici mi dessero risposte in merito alla causa di quei problemi, mi parlavano di bipolarismo, di psicosi, ma una cura a parte i farmaci non c’è mai stata. Mi sono accorta che non c’è un aiuto vero e proprio, nelle strutture ma anche nelle comunità, c’è solo una somministrazione di farmaci». La mamma ha riferito che il figlio aveva iniziato ad assumere droga da quando aveva 15 anni, quattro anni dopo erano stati riscontrati i problemi di natura psichiatrica, parlando di 10-15 ricoveri tra Tso e comunità.

«In passato ci sono stati litigi con persone ma non così violenti – ha aggiunto –. Litigi verbali, una spinta, ma niente di più. Nel 2021 ho denunciato mio figlio perché non mi voleva far uscire di casa e mi ha spinto, poi il procedimento è stato archiviato. A marzo del 2019 per 18 mesi è stato in una comunità a Lecce per doppia diagnosi, aveva un discontrollo degli impulsi e un atteggiamento aggressivo. Qualcuno si è lamentato, Filippo voleva andare via, è stata dura farlo restare lì. In quel periodo però si era iscritto anche all’Accademia di belle arti e ha sostenuto tre esami, era appassionato di pittura, è un artista. Poi è tornato a casa, per meno tempo ha frequentato altre comunità».
La donna ha parlato del suo ex compagno, «era violento, non capiva il modo di essere di mio figlio, con la violenza cercava di insegnargli qualcosa, questo è stato il motivo per cui ci siamo lasciati», mentre di Filippo ha detto che «era poco sociale, aveva un carattere particolare, veniva sempre un po’ deriso dai compagni, forse anche per questo è venuto qui, voleva trovare una nuova dimensione. Aveva conosciuto una signora, è venuto con lei a Civitanova per qualche tempo e poi ha trovato un lavoro e a me era sembrato un miracolo. Lui era contento. Filippo è particolare, va capito e non tutti sono in grado di farlo». Dopo la deposizione gli ha preso la mano e gli ha mandato un bacio.

Tra i testimoni sentiti oggi anche un dipendente delle Dogane intervenuto il giorno dell’aggressione mortale. «Mi sono trovato lì per disgrazia – ha esordito –. Avevo l’auto dal meccanico ed ero seduto alla fermata dell’autobus, ho sentito delle voci dietro di me e ho visto Ferlazzo che picchiava Alika gli ho urlato “Smettila, così lo ammazzi “e lui continuava, ho cercato di fermarlo». Alla domanda se riconoscesse l’imputato il testimone si è girato verso di lui, lo ha guardato per qualche secondo in silenzio e poi ha esclamato: «Adesso è un po’ diverso, ma è lui. A me dispiace».
Ritornando al giorno dell’aggressione il teste ha aggiunto: «Mi ha colpito la violenza dei colpi, gli ha torto il braccio, gliel’ha girato dietro e lo continuava a colpire. Lo ha colpito con un cellulare alla tempia 4 o 5 volte. Ho chiamato il 112, li ho allertati. “Smettila, lascialo stare, non continuare che così lo ammazzi”, gliel’ho ripetuto tutto il tempo a Ferlazzo e mi ha risposto “Fatti i fatti tuoi pezzo di merda”. Poi lui si è alzato, gli ho detto “Non andare via, sta arrivando la polizia, parlaci” e si è allontanato. Quando si è alzato, Alika era a terra, non si muoveva, aveva lo sguardo fisso e gli occhi sbarrati con la testa girata». «Mi hanno accusato che non sono intervenuto – si è sfogato poi il testimone –, che non gli sono saltato addosso, ma che ne sapevo se aveva un coltello, una pistola. Io ho cercato di fermarlo, poi l’ho seguito, nel frattempo è arrivata una pattuglia, gli ho detto dove era andato e lo abbiamo seguito insieme».

In aula è stato sentito anche il datore di lavoro di Ferlazzo, titolare di una fonderia che aveva assunto il 32enne dal 30 giugno al 31 luglio. L’uomo ha negato di aver mai fatto discorsi di natura personale con Ferlazzo ma su domanda dell’avvocato Roberta Bizzarri difensore dell’imputato, ha riferito di un episodio avvenuto il giorno prima del delitto in cui Ferlazzo gli aveva «chiesto se gli rinnovavo il contratto di lavoro, è diventato apprensivo e gli ho detto ne riparliamo lunedì con calma. L’ho visto molto agitato, lui mi ha detto “Se non mi vedrai al lavoro lunedì saprai il perché”».

La direttrice del carcere di Montacuto (ora Ferlazzo è a Pesaro) ha invece ricordato che «era difficile trovargli una sezione e una camera dove stare insieme agli altri detenuti, gli altri non lo vedevano di buon occhio, abbiamo circa il 40% di detenuti di origine straniera, la maggior parte del Nordafrica, lui ha sempre avuto atteggiamenti di non convivenza e questo ha portato alla richiesta di trasferimento. Aveva girato tutte le sezioni anche quella protetta-promiscue, ma anche lì la convivenza è stata difficile e poi è stato messo in isolamento ma lui è stato in carico al servizio di valutazione multidisciplinare che si occupa di soggetti a rischio e per loro non è consigliabile stare da soli, per questo abbiamo chiesto il trasferimento».
La direttrice ha poi ricordato un episodio: «Di notte ha iniziato a urlare, diceva di avere mal di testa e voleva più terapia, ma non era possibile perché gliene era stata somministrata abbastanza. Ebbe un diverbio con un altro detenuto ma nulla di grave». Alla domanda del presidente della corte Roberto Evangelisti se ci fosse una incompatibilità con l’ambiente carcerario la direttrice ha risposto: «Dal punto di vista sanitario non lo posso sapere perché se ne occupa l’azienda sanitaria, posso dire che aveva difficoltà a convivere con gli altri detenuti e che gli altri avevano difficoltà a convivere con lui».

La prossima udienza è fissata al 3 maggio. La vedova di Alika e i familiari sono parte civile con l’avvocato Francesco Mantella.

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