Macerata

Morte della famiglia Canullo a Macerata, il giudice: «Reclamo inammissibile»

Il procedimento penale a carico dei tre iniziali indagati si chiude definitivamente. Nessuna responsabilità penale rilevata a carico di chi ha gestito l'intervento

Le Forze dell'Ordine e della Scientifica nel giardino della villetta a Macerata dove sono stati ritrovati tre cadaveri

MACERATA – Padre, madre e figlio trovati senza vita in casa a due mesi dalla loro morte, si chiude definitivamente il procedimento penale a carico di chi gestì l’intervento. Il giudice Domenico Potetti ha infatti respinto il reclamo presentato da un nipote della famiglia Canullo, dopo l’archiviazione disposta dal gip, dichiarandolo inammissibile.

Nell’ordinanza depositata ieri mattina 19 febbraio il giudice ha stabilito la legittimità del provvedimento di archiviazione emesso dal gip, mettendo così la parola fine a una vicenda drammatica che aveva scosso l’intera comunità maceratese e che era venuta alla luce la mattina del 6 settembre del 2021 quando vigili del fuoco e polizia entrarono in una villetta in Borgo Santa Croce dove viveva la famiglia Canullo: il padre 80enne Eros, la moglie 77enne Angela Maria Moretti, costretta al letto a seguito di un ictus, e il loro unico figlio Alessandro Canullo, 54 anni, invalido a causa di un incidente stradale avvenuto quando era ventenne.

Ad allertare i vigili del fuoco era stata una sorella di Angela Maria che vive fuori regione e che non era più riuscita a mettersi in contatto con loro. Quando i soccorritori entrarono trovarono i tre familiari morti e dallo stato dei corpi era stato chiaro sin da subito che la loro morte risaliva a diverso tempo prima. Circa due mesi stabilì il medico legale che eseguì l’autopsia, rilevando che tutti e tre erano morti di inedia, l’anziano padre sarebbe stato colpito da malore ma non sarebbe morto subito, la moglie e il figlio, senza nessuno che potesse accudirli, erano morti anche loro lentamente di inedia.

Il pubblico ministero Stefania Ciccioli dispose mirate indagini nel corso delle quali emerse che il 29 giugno Alessandro chiamò il 112 per chiedere aiuto ma le sue difficoltà nel linguaggio portarono i soccorritori a non comprendere che i tre fossero a casa e le ricerche effettuate con insistenza nei pressi dell’abitazione, che era circondata da un terreno incolto col cancello chiuso con un lucchetto e all’apparenza disabitata, risultarono vane.

Inizialmente furono indagate le tre persone che gestirono l’intervento, il medico del 118, il coordinatore della sala radio del 118 e il capo pattuglia della Volante della polizia. L’ipotesi di reato era quella di cooperazione in omicidio colposo. Al termine di tutti gli accertamenti e dopo aver sentito gli indagati il pm non ravvisò profili di colpa a loro carico e ne chiese l’archiviazione.

Due parenti dei Canullo presentarono opposizione, fu celebrata l’udienza dinanzi al gip Daniela Bellesi che archiviò il procedimento. Un nipote di Eros Canullo che vive a Fermo, tramite l’avvocato Maurizio Gabrielli, impugnò l’archiviazione presentando un reclamo. Per il legale il provvedimento del gip era nullo perché non avrebbe dichiarato formalmente l’inammissibilità dell’opposizione e non avrebbe motivato sul punto delle indagini suppletive. Il giudice Potetti ha ritenuto legittimo il provvedimento di archiviazione emesso dal gip, un’ordinanza e non un decreto che non poteva essere impugnata per motivi di merito ma solo per motivi formali relativi al contraddittorio in udienza. I difensori degli iniziali indagati, gli avvocati Paolo Rossi, Giorgio Di Tomassi e Gabriele e Massimiliano Cofanelli, hanno espresso piena soddisfazione per la decisione del giudice.

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