Macerata

Liberazione d’Italia: nelle Marche la Resistenza del “Battaglione Mario”. Lo storico: «Esempio unico nel panorama nazionale»

Nel giorno dell’80esimo anniversario della Liberazione ecco la vicenda del “Battaglione Mario” che agì nel territorio di San Severino. Il racconto dello storico Matteo Petracci

SAN SEVERINO MARCHE – Ottanta anni dalla Liberazione. E nel giorno dell’anniversario del 25 Aprile, in cui si ricorda e si celebra la fine della guerra e la fine dell’occupazione nazista e fascista, le Marche si raccontano anche nella storia del “Battaglione Mario”.

Siamo nella zona di San Severino Marche: qui la resistenza armata che si sviluppò in seguito all’8 settembre 1943, diede vita al Battaglione Mario, dal nome del comandante Mario Depangher. La “banda Mario” diventa anche esempio di antirazzismo.

Matteo Petracci
Matteo Petracci

A raccontarla Matteo Petracci, cultore della materia di Storia contemporanea all’Università di Camerino, e che ha conseguito il Dottorato di ricerca in Storia, politica e istituzioni dell’area euromediterranea all’Università di MacerataPetracci è inoltre una guida ambientale escursionistica e accompagna i gruppi in montagna, anche sui sentieri della Resistenza.

È autore di “Partigiani d’Oltremare” edito da Pacini Editore. «Questa ricerca – ha spiegato Petracci – trae origine da diverse fotografie, che ritraggono i partigiani che facevano parte del gruppo di Depangher, un antifascista istriano che dopo anni di carcere era stato trasferito come internato a San Severino Marche». 

San Severino e la “banda Mario”

E Petracci ha così raccontato l’unicità in Italia della “banda Mario”, di cui Depangher è stato il fondatore. «Al loro interno si parlavano almeno otto lingue, c’erano persone di dieci nazionalità diverse e si professavano tre religioni diverse. La coralità della banda è stata data dalla presenza di questi africani, portati in Italia in occasione della Triennale d’Oltremare di Napoli. Chiusa a giugno del 1940, all’interno di questa mostra erano rimasti i Somali, gli Eritrei e gli Etiopi portati nel nostro paese come “animali in uno zoo”».

E aggiunge: «In seguito ai bombardamenti, dopo tre anni, vennero spostati a Treia, dove godettero di condizioni di vita migliori. Conoscevano anche l’italiano. Vengono a sapere dell’arresto di Mussolini e della fuga del re, e di molti prigionieri di guerra. Tre etiopi decisero di scappare, si diressero verso il Monte San Vicino, dove entrarono in contatto con i partigiani di Depangher. I tre raccontano loro che a Villa Spada (a Treia, ndr) ci sono munizioni e persone africane disposte ad unirsi alla banda. Depangher organizzò dunque uno scontro a Villa Spada e al termine le armi vennero portate via e altri africani si unirono, raggiunsero di nuovo il Monte San Vicino. Seguono così tutte le vicissitudini del battaglione fino alla liberazione di tutto il territorio provinciale. Nel luglio del 1944 la zona dove operava il “Battaglione Mario” venne liberata e in molti si trovarono di fronte al dilemma su cosa fare».

«Una storia particolare – conclude Petracci – Unica nel panorama nazionale e la sua unicità è data dalla presenza proprio di queste persone di origine africana. Una storia che parla, dunque, anche al presente».