Macerata

Macerata, il dottor Sigona è guarito dal Coronavirus: «Mi mancava il contatto umano. Ora basta tagli alla sanità»

La risposta del secondo tampone: negativo. E ora spera di tornare presto a lavoro per aiutare i suoi colleghi. «Non so se le cose torneranno mai come prima ma quello che so è che tutto ciò è solo in mano nostra»

Marco Sigona
Il dermatologo Marco Sigona

MACERATA – «Poter riabbracciare la mia famiglia è stata una vera e propria sensazione di libertà; ora però non vedo l’ora di tornare a lavoro per aiutare i miei colleghi». Il dermatologo di Macerata Marco Sigona è stato una delle prime persone a essere state contagiate dal Coronavirus in provincia di Macerata. Ieri sera è arrivata la risposta del secondo tampone: negativo. Una gioia immensa che gli ha permesso di poter ritrovare il contatto umano con i propri familiari, ma anche di fare una riflessione sul sistema sanitario nazionale.

«Dopo Pasqua conto di poter tonare a lavoro – ha raccontato -. L’inizio sarà duro perché qualcuno avrà, forse, ancora il timore, ma non vorrei essere visto come un malato perché la malattia l’ho sconfitta. Mi piacerebbe che i colleghi e che le persone a me vicine mi considerino anzi come una persona che possa portare il suo valore aggiunto per ciò che ho vissuto».

«La cosa che mi è mancata di più sono stati i contatti umani con la mia famiglia e il non poter vedere e abbracciare i miei affetti, i colleghi di lavoro, gli amici – spiega -. Ci si rende conto che diventano essenziali cose di cui prima non ne capivamo l’importanza. Fortunatamente ho una casa grande quindi mia figlia è andata in mansarda, mia moglie stava in casa e io mi sono isolato in una stanza. Cosa facevo? Be’, leggevo i giornali, guardavo la tv, leggevo romanzi, riposavo, mangiavo e suonavo il basso elettrico che è una delle mie passioni».

«Dopo circa 30 giorni d’isolamento fiduciario obbligatorio, ricordo che la mia vicenda è iniziata il 27 febbraio e ho scoperto la mia positività il 6 marzo, posso dire di essere stato fortunato. Il virus, come nel film Sliding Doors, probabilmente con me ha imboccato la porta sbagliata ma mi ha costretto a casa a due settimane di febbre ricorrente, raffreddore, una modesta tosse, un lieve affanno respiratorio che ho sempre monitorato attraverso l’utilizzo di un saturimetro e in stretto contatto con i colleghi della Pneumologia di Macerata – racconta il dottor Sigona -. A metà del percorso, non recedendo la febbre, si era prospettata l’ipotesi di farmi sottoporre ad una Tac toracica e a un eventuale ricovero all’ospedale di Camerino. Ho avuto paura, prevedevo l’inizio di un calvario, ma ho tenuto duro, rispettato le indicazioni terapeutiche e questa ipotesi giorno dopo giorno si è allontanata sempre di più. Sentivo che clinicamente andava sempre meglio e il mio umore migliorava».

«Dopo 14 giorni dal primo tampone sono stato sottoposto a un nuovo accertamento che purtroppo risultava ancora positivo. Sono ricaduto nello sconforto più totale. Mi sentivo bene ma quel virus era ancora lì dentro, non mi mollava, iniziava il mio calo psicologico che ho superato soltanto grazie alla vicinanza dei familiari e di tante persone che mi hanno sempre telefonato, inviato messaggi, scritto mail, fatto videochiamate e che voglio ringraziare perché in certi momenti si sente proprio il bisogno di essere uniti – spiega -. Le notizie che leggevo sui giornali e ascoltavo in televisione di migliaia di contagiati, di morti tra cui tanti, troppi colleghi sanitari, dell’impegno che tutti stavano dando per lottare contro questo nemico che viveva ancora in me, mi spingevano ogni giorno a ripetermi mentalmente che ce l’avrei fatta e sarei tornato anche io nel mondo a combattere questa assurda guerra».

«E sì perché è una guerra assurda ma è la guerra che d’ora in poi ci dobbiamo aspettare perché i nemici non arrivano più con i carri armati e i mitragliatori, come ci insegnavano durante il servizio militare, ma arrivano in forma invisibile, ma anche prevedibile – osserva il dottor Sigona -. E noi possiamo prepararci a riceverli con un sistema sanitario più forte, più organizzato, dove vengano investite più risorse, reclutati più soldati attraverso accessi più semplici alla professione, fatti piani di prevenzione perché abbiamo gli strumenti per farli. La prevenzione non è una spesa ma un investimento, non concediamoci più il lusso di far scappare i nostri cervelli e i nostri ricercatori; dobbiamo dare la giusta importanza ai servizi territoriali perché abbiamo visto quanto sono fondamentali in questo tipo di sanità».

«Non siamo eroi ma facciamo solo il nostro mestiere cercando di farlo nella maniera migliore e per farlo vogliamo avere le armi giuste. Questo virus ha colpito trasversalmente tutti, non ha risparmiato nessuno, dalla persona comune all’operatore sanitario, dal personaggio televisivo a quello dello sport, dall’amministratore pubblico al politico. Mi auguro che la lezione che ci lascerà faccia riflettere sul fatto che non potremmo più permetterci di tagliare in continuazione su certi servizi e che ci dobbiamo riappropriare di alcune priorità – continua il professionista -. A breve avremo sicuramente bisogno di ritrovare quell’unità tra le persone che sono state costrette per troppo tempo a distanziarsi socialmente ed emotivamente e avremo bisogno ancora di tanta solidarietà per programmare già da subito il da farsi, non aspettando la fine dell’emergenza. Oggi abbiamo bisogno di rispetto delle regole e di mantenere alto l’impegno fin qui messo, restando a casa e osservando le indicazioni che ci vengono date. Solo così ce la faremo come ce l’ho fatta io. Non so se le cose torneranno mai come prima – ha concluso – ma quello che so è che tutto ciò è solo in mano nostra».

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