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I simboli del femminismo fanno capolino sulle passerelle

Il femminismo, in versione t-shirt o cappellino rosa, ha detto la sua dalle passerelle di New York a quelle di Milano

Anche quest’anno la moda per l’autunno-inverno 2017-2018 ha detto la sua e sulle passerelle di New York, Londra e Milano (in arrivo quelle di Parigi) gli stilisti si sono sbizzarriti con le loro creazioni. Fin qui sembra tutto nella norma, eppure i catwalk hanno riservato qualche momento per messaggi che vanno oltre l’universo fashion, ovvero quello del femminismo.

Ha cominciato Prabal Gurung a New York con le t-shirt che parlavano chiaro e arrivavano dritte al punto «Il futuro è femminile», «Le giovani donne devono avere i loro diritti», «Sì, dovremmo essere tutti femministi». Lo stilista ha dichiarato di aver preso ispirazione dalla marcia delle donne che il 21 gennaio, il giorno dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, ha animato le strade di Washington e di aver riportato sulle passerelle quel sentimento di forza e unione che aveva percepito e raccolto durante la manifestazione.

Ha anche detto «Non posso parlare per gli altri, ma parlo per quella che è la mia esperienza. Vengo dal Nepal e una madre single mi ha fatto diventare chi sono. Le donne sono state il mio punto di riferimento fin dall’inizio. Se oggi sono quello che sono è merito di una madre. Quindi per me il femminismo non è solo un argomento di tendenza. È l’unico modo di essere che ho conosciuto, ancora prima che il femminismo fosse chiamato così. […] La moda e la politica dovrebbero sempre mescolarsi».

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Prabal Gurung era in buona compagnia.

A Milano Missoni ha creato un piccolo corteo che aveva un accessorio che parlava per tutto il resto. Le modelle, infatti, indossavano il pussyhat, un cappellino rosa lavorato a maglia che le partecipanti alla manifestazione di Washington sfoggiavano con orgoglio.

Oltre al cappellino, la stilista ha messo come sfondo speciale per la passerella il Monte Rosa per dire che le donne insieme e unite hanno la forza travolgente di una montagna.

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La sua storia è legata a un progetto, il Pussyhat Project, a cui hanno lavorato due donne, la sceneggiatrice Krista Suh e l’architetto Jayna Zweiman, a partire da novembre, subito dopo i risultati delle elezioni.

Con la collaborazione di Kat Coyle, la titolare del negozio dove si rifornivano della lana per il loro hobby, hanno creato un sito in cui mostrare alle donne tutti i passaggi per creare un cappellino che avesse delle caratteristiche speciali e simboleggiasse la loro lotta per il rispetto dei diritti delle donne. È rosa, ha le orecchie da gatto per il gioco di parole tra “pussyhat” e “pussycat” ed è facile da realizzare. Non solo, come le stesse ideatrici hanno pensato e dichiarato, permette a tutte di partecipare anche virtualmente a una manifestazione senza essere presenti fisicamente.

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Risultato? A distanza da un mese dalla marcia in USA, sembra che Missoni abbia imparato tutti i trucchi del mestiere con i ferri.

In un’intervista a “La Repubblica” Angela Missoni ha spiegato i motivi della sua scelta «Voglio dire semplicemente che in un momento come questo, di profonda incertezza, dobbiamo essere uniti per i diritti. È questo il mio messaggio».

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