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Parenti serpenti: quando prendere le distanze dalla famiglia diventa necessario

Quando la famiglia è gravemente disfunzionale, può diventare necessario prenderne le distanze per preservare la propria salute fisica e mentale

Puntualmente, nel periodo natalizio trasmettono in tv “Parenti serpenti”. Il celebre film di Monicelli, commedia amara sulla famiglia italiana, scoperchia progressivamente le ipocrisie e i veleni celati dietro l’apparente idilliaco quadretto familiare dei parenti che si ritrovano per festeggiare il Natale. In stridente contrasto con l’atmosfera della gioiosa riunione familiare, a poco a poco emergono retroscena di incomprensioni, conflitti, gelosie e invidie tra i membri della famiglia, fino al drammatico e cinico finale che lascia di sasso lo spettatore. Che venga proiettato classicamente a Natale, non è solo l’ovvia conseguenza del fatto che la trama sia ambientata nel periodo natalizio, ma corrisponde perfettamente a ciò che ogni psicologo o psichiatra può facilmente constatare: le feste natalizie sono ad alto rischio per la salute psicologica e sono per eccellenza l’occasione di esacerbazione o esplosione di dinamiche familiari disfunzionali.

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Molti miei pazienti mi confessano che vorrebbero solo andarsene più lontano possibile, non essere costretti dai rituali delle feste a trascorrere forzatamente il loro tempo con le persone da cui più si sentono feriti, criticati, traditi, non amati. Perché purtroppo la famiglia non è sempre  quel caldo rifugio che dovrebbe essere, non è sempre il luogo dell’amore incondizionato, della protezione e della cura, non sempre sostiene, non sempre nutre emotivamente. A volte, diventa necessario mettere un qualche tipo di distanza tra sé e la propria famiglia o qualche membro di essa (che siano genitori, fratelli e sorelle, figli, nonni o altri componenti), per tutelare il proprio benessere, la propria salute mentale o persino la propria sopravvivenza.

I familiari “tossici”

“La famiglia è il nostro forziere del tesoro ma anche la nostra trappola mortale.” (A. Jodorowsky); “La famiglia si può immaginare come una ragnatela, un fiore, una tomba, una prigione, un castello.” (D. Laing).

Non solo le relazioni di coppia possono essere “tossiche”, ma anche quelle familiari. Il termine “tossico” non è una definizione clinica esistente in psicologia ma si usa comunemente per riferirsi a quelle persone o quei rapporti caratterizzati da modelli di comportamento nocivo, che non rispettano l’individualità di ciascuno, in cui dominano disprezzo, critica, aggressività, trascuratezza, ricatto emotivo, umiliazione, svalutazione, controllo, iperprotezione, possesso, abuso. Le persone possono agire in buona fede, non avere cattive intenzioni, e malgrado questo avere bisogni e comportamenti che causano sofferenza a chi gli sta accanto. Possono non essere equilibrate, soffrire di disturbi mentali e involontariamente comportarsi in un modo che fa soffrire gli altri. Oppure possono volere imporre le loro idee e i loro valori di vita, possono agire per interesse personale e sfruttare gli altri. Possono bloccare l’indipendenza di un altro e ostacolarlo. Nei casi più gravi, possono compiere manipolazione e abuso fisico, psicologico, sessuale su un proprio familiare, costringendo la vittima a vivere nell’ansia, nello stress, nella confusione.

Trovare la giusta distanza

Trovare una giusta distanza rispetto a una famiglia disfunzionale è necessario per preservare il proprio benessere. Prendere le distanze può tradursi in scelte diverse, più o meno drastiche: può significare stabilire dei limiti, mettere dei confini all’invadenza, trascorrere meno tempo insieme, frapporre una distanza fisica, o anche chiudere del tutto i rapporti, in casi estremi. Prendersi una pausa allontanandosi anche temporaneamente può essere utile a tutti: a chi decide di allontanarsi serve ad avere una visione più lucida della situazione, a riflettere se stia pretendendo troppo o stia agendo per egoismo o se effettivamente la situazione a cui è sottoposto sia insostenibile, e al familiare “tossico” può servire a rendersi davvero conto della gravità dei suoi comportamenti e di quanta sofferenza può provocare agli altri.  Vedere che gli altri non continuano a subire soprusi e si allontanano perché esigono rispetto, può aiutare i membri “tossici” della famiglia a cambiare ed essere più rispettosi. Vedere un familiare, ad esempio un figlio, che si allontana e che è capace di cavarsela da solo, può aiutare dei genitori “tossici” ipercontrollanti a vedere nel figlio le sue capacità e a lasciarlo andare.

Allontanarsi può insomma permettere di costruire un rapporto più sano, da entrambe le parti. Per valutare se sia il caso di distanziarsi, ci si possono porre domande come: “La persona che mi fa soffrire sa cosa provoca in me? Se lo sapesse, saprebbe cambiare?”, “Tendo troppo a giustificare il comportamento scorretto dell’altro?”, “Sono io che contribuisco a creare un rapporto disfunzionale?”, “Da questo rapporto prendo anche qualcosa di positivo?”, “Posso creare un qualche limite (ad esempio, ridurre le visite o le telefonate)?

La difficoltà del distacco

Prendere le distanze è una scelta emotivamente difficile,  comporta un senso di liberazione ma anche senso di colpa, gioia ma anche tristezza e senso di fallimento. La solidarietà verso i propri familiari è un valore importante, ma la fedeltà alla famiglia può essere così rigida da tollerare una sistematica violazione dei limiti e veri soprusi, senza potersi sentire legittimati a sottrarsi. Anche le opinioni altrui pesano, spingendo ad essere tolleranti, a perdonare e ricucire i rapporti. Alcuni rimangono tenacemente attaccati a familiari disfunzionali, maltrattanti e abusanti, perché sperano che magari un giorno questi si redimeranno, perché sperano di sentirsi un giorno riconosciuti, di sentirsi dire un grazie. Oppure , anche da adulti restano lì nonostante la sofferenza, per continuare a scontrarsi con i familiari da cui si sono sentiti feriti, per recriminare loro quotidianamente “Guarda come mi hai ridotto, guarda come soffro a causa tua”, condannandosi così volontariamente a una vita d’inferno. In altri casi, apparentemente le persone si allontanano dalla propria famiglia, ma si tratta di un “taglio emotivo” a cui non corrisponde un’ effettiva elaborazione del distacco e che lascia vuoto, tristezza, senso profondo di mancanza, anche se superficialmente queste emozioni vengono negate: “No, non sento nessuna mancanza”. Pur frapponendo una distanza fisica, a livello emotivo si resta in uno stato di dolorosa dipendenza dalla famiglia, che paradossalmente diventa ancora più presente e tormentante.

Accettare non significa subire

Comprendere e accettare non significa dimenticare la sofferenza subita, o lasciare che l’altro continui a fare del male, o restare in una situazione che crea malessere. Accettare significa riuscire a vedere le persone per quello che sono, smettere di aspettarsi da loro ciò che non possono dare e smettere di cercare di ottenere da loro ciò di cui non sono capaci. Può significare rendersi conto che sono fragili, che hanno avuto a loro volta una famiglia disfunzionale alle spalle, o prendere atto che hanno un disagio mentale o un deficit cognitivo. Accettare significa concedere una seconda possibilità? Può essere una scelta da valutare, ma dall’altra parte dovrebbero esserci consapevolezza, pentimento, azioni concrete per cambiare.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
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