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Ho incontrato l’amore. Su Tinder

Da due anni sono innamorata. Come è possibile? Grazie ad un logaritmo. Vi racconto la mia esperienza, tra social, paturnie esistenziali e pregiudizi accumulati

Prima di iniziare la lettura, se non sai come funziona Tinder, o, a causa di una lunghissima storia d’amore, hai dimenticato come si usa, clicca quiIniziamo.

Non so bene quale sia stato il motivo esatto per cui ho deciso di scaricare Tinder. Ho molto indagato su me stessa, analizzando la difficoltà della comunicazione nell’era dei social e della globalizzazione, ma anche il divertimento che derivava dal poter scegliere del mio e dell’altrui destino, dicendo Sì o No ad una miriade di ragazzi e uomini, belli e brutti, di tutte le età e nazionalità.

Tutta apparenza, in realtà, perché il mio destino l’ho sempre deciso (per quanto possa una persona) a monte della selezione de “i ragazzi più gnocchi con cui matcho”: non ho mai avuto il coraggio, nonostante la tentazione, di incontrare nessuno dei ragazzi che esprimevano un interesse per me, per paura o perché mi faceva un po’ tristezza. Tutto questo si accompagnava alla moltitudine dei miei disagi morali: come puoi accettare di essere giudicata da delle foto? Non ti sei sempre battuta per la salvaguardia dell’essenza e dell’interiorità?

Intanto i miei match proseguivano con successo, e tra un ragazzo ed un altro, tra il proprietario del negozio di domestici e il barista del bar dietro casa, tra foto di peni e “Scopiamo?” vari, scambiavo con le mie conquiste più dolci (e meno grezze) chiacchiere del tutto futili e prive di vera intenzione.

Il ragazzo che frequentavo all’epoca era inerme di fronte alla velocità del mio pollice che scorreva a destra e, più spesso, a sinistra (perché ero molto esigente) alla ricerca del match perfetto. Infatti l’ho lasciato.

Subivo continuo terrorismo psicologico dalla mia coinquilina, che mi faceva domande a cui non ho mai risposto. “Ti sembra una cosa naturale? Non ti fa schifo? Tanto tutti voglio solo fare sesso”. Alimentando i miei dubbi, ma non avendo il controllo del mio Iphone, ho proseguito il mio esperimento, fino al giorno in cui decisi di eliminare Tinder e di lasciar perdere la mia ricerca, che era sempre più platonica.

Prima di cancellarmi mi scambiai il contatto Facebook con un ragazzo. Perché? Non ne ho la più pallida idea. Dopo un viaggio a Londra, tornai nella capitale romana, e mi ricordai di lui. Lo stalkerai per bene: vedevo pubblicati sul suo profilo link di musica interessanti, scoprii che aveva abitato a Parigi e in generale aveva un non so che di misterioso. Lo ricontattai, ci scambiammo dei nostri pezzi musicali e, dopo una lunga fase di “me la tiro perché sono donna” e “metto le mani avanti, io sono una ragazza seria”, decidemmo di vederci per una birra.

Il giorno X arrivò, e ci vedemmo in un locale, vicino casa, così che io potessi darmela a gambe nel caso fosse un maniaco. Ogni spostamento che facevamo veniva tracciato dal mio gps e inviato ai miei coinquilini, così che, nel caso io non avessi mai fatto ritorno a casa, avrebbero saputo dove cercarmi.

La serata procedette in modo sorprendentemente piacevole, ci raccontammo chi eravamo e che cosa facevamo nella vita. Parlammo della nostra asocialità e del senso dell’esistenza, dei dinosauri e della teoria della relatività.

«Wow. Come è possibile?» mi chiesi. La sera ero contentissima, e andai a letto, come spesso mi era capitato, fantasticando sul nostro futuro insieme, sui nostri sette figli e sulla nostra villa in campagna con maiali e cavalli annessi. Tentai di rimanere con i piedi per terra, per quanto ci riuscissi, e continuammo a vederci, senza nessun interesse dichiarato per qualche mese.

Andavamo a concerti, bevevamo delle innocentissime birre artigianali, andavamo al parco a suonare la chitarra e cantare, a cena dal giapponese. Iniziammo a dormire insieme, a volte. E tutto ebbe inizio. Un sogno? No. Solo il frutto di un logaritmo matematico. Eppure, dopo due anni, stiamo ancora insieme.

Abbiamo fatto dei viaggi fantastici, abbiamo conosciuto i rispettivi genitori e abbiamo una vita sessuale felicissima. Edward Lorenz aveva ragione: l’effetto farfalla esiste. Mi tengo stretta il mio ragazzo, sopratutto al pensiero che la nostra relazione dipenda da una botta di pollice verso destra.

P.B.

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