Jesi-Fabriano

Virginia Barchiesi, un Alfiere della Repubblica al Liceo: «I giovani s’impegnano quando sentono ascoltate le loro voci»

La diciassettenne fondatrice del gruppo Younicef delle Marche è stata nominata dal Presidente Mattarella fra i giovanissimi costruttori di comunità. «Il messaggio di una mamma quello che più mi ha toccata: più importante di ogni onorificenza l'impatto positivo dei progetti seguiti»

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JESI – Diciassette anni, jesina, nominata Alfiere della Repubblica dal Presidente Sergio Mattarella lo scorso aprile fra venticinque ragazzi e ragazze, giovanissimi, che si sono distinti come costruttori di comunità, attraverso la loro testimonianza, il loro impegno, le loro azioni coraggiose e solidali.

Virginia Barchiesi, fondatrice del gruppo “Younicef – Young for Unicef” della regione Marche, in questi anni ha organizzato eventi di raccolta fondi e di sensibilizzazione, diffondendo con passione la missione dell’Unicef, organizzando nelle scuole numerose assemblee fino a coinvolgere duemila studenti, e si è distinta nel lavoro di promozione culturale, e in particolare nella ricerca di narrazioni che eliminino tracce di odio e pregiudizio.

Sei stata riconosciuta Alfiere della Repubblica «per l’impegno profuso in difesa dei diritti dei bambini migranti e dei giovani rifugiati». Come ti sei avvicinata a queste tematiche?
«Il mio interesse nasce nel 2011/2012 quando cominciavamo a vedere in televisione le immagini delle masse di profughi e sfollati della guerra in Libia. Ricordo ancora con precisione il senso profondo d’ingiustizia che provavo vendendo quelle immagini. In quel periodo ho cominciato a maturare l’idea che un giorno avrei lavorato come diplomatico per le Nazioni Unite, per riuscire a risolvere crisi politiche, umanitarie e conflitti internazionali. Crescendo, ho capito che potevo già da ora fare la mia piccola parte e sono entrata in UNICEF intorno ai 14 anni, durante il periodo più drammatico e concitato dei continui sbarchi sulle nostre coste di profughi e migranti dalla Libia».

Quale è stata la tua prima reazione alla notizia del riconoscimento?
«Appena l’ho saputo stentavo a crederci. Eravamo in piena emergenza sanitaria e avevo quasi dimenticato cha la mia candidatura era stata avanzata. La gioia ha poi lasciato spazio alla concitazione: continue telefonate di giornalisti, troupes in casa, chiamate di congratulazioni, mail, comunicati e su tutto la scuola che ancora non era terminata… da un po’ ormai mi dedico praticamente a tempo pieno a questo ruolo perché sento di avere un’opportunità unica per sensibilizzare la mia comunità sulle questioni che mi stanno più a cuore».

Cosa è per te Unicef?
«Unicef per me è stato il mio primo vero contatto con il mondo umanitario. La filosofia del non lasciare nessuno indietro, il mettersi sempre all’ascolto, il provare empatia per tutte le situazioni che ci circondano, la capacità di comprendere e individuare i problemi strutturali delle comunità, ma soprattutto l’esserci. L’Unicef, così come altre organizzazioni gemelle delle Nazioni Unite, c’è sotto i bombardamenti in Yemen e in Siria, nei campi profughi in Giordania e in Libano, nelle comunità che accolgono giovani migranti della Sicilia. Dove c’è un’umanità che ha bisogno di aiuto l’Unicef è presente e si mette al servizio delle persone. Stando qui ho prima di tutto imparato questo».

Nei tuoi coetanei, che tipo di coscienza e consapevolezza trovi dei temi – dalle migrazioni ai diritti dell’infanzia – ai quali ti dedichi?
«Fortunatamente, grazie alla grande diffusione di informazioni che caratterizza il mondo moderno, sono temi di cui tutti conosciamo l’esistenza. Il problema è riuscire a trasformare una consapevolezza passiva – “sono problemi degli altri” – in attiva: “essendo membro di una comunità sono anche miei problemi”. In realtà l’attivismo giovanile è molto più diffuso di quanto normalmente non si pensi e questo mi dà grande speranza nella capacità che avrà la nostra generazione di costruire un mondo più giusto per tutti».

Hai appena concluso un anno scolastico certamente atipico: come l’hai vissuto e come hai vissuto le settimane del lockdown, che hanno coinciso per te con la notizia della nomina da parte del presidente Mattarella?
«Il periodo del lockdown è stato per tutti noi un periodo di sacrifici. Avendo uno zio primario di malattie infettive a Pesaro e dunque in prima linea nella risposta al Covid, ero consapevole di ciò che stava accadendo nei reparti di rianimazione, della sofferenza delle famiglie che avevano perso i loro cari, dei turni infiniti di chi era in ospedale. Questa consapevolezza mi ha spinto ad impegnarmi nelle mie consuete attività per fare la mia parte in questa emergenza. Quando poi ho ricevuto la nomina mi sono completamente dedicata alle attività connesse e il tempo è volato. La mia scuola è stata molto efficiente nello spostare subito tutte le attività curricolari online. Purtroppo, il nostro curriculum di liceo classico mal si adatta all’online learning e dunque non è stato semplice, ma tutti gli studenti e i professori si sono impegnati al massimo per cercare di far fruttare questo periodo».

Quali, fra le tante reazioni, e immagino, chiamate di congratulazioni che avrai ricevuto, ti hanno fatto particolarmente piacere o colpito?
«Ho ricevuto moltissime chiamate di congratulazioni da amici, professori, colleghi del mondo dell’associazionismo e da numerosi rappresentanti delle istituzioni. Ogni singolo segno di affetto, di stima e di apprezzamento mi ha commossa, ma c’è stato un messaggio che più di ogni altro mi ha toccata: quello della mamma di una bambina che frequentava i laboratori sui diritti dell’infanzia che tenevo qualche tempo fa. Mi ha scritto congratulandosi e ringraziandomi per quello che avevo fatto per sua figlia e per i suoi coetanei in questi anni. Messaggi come questo danno senso a tutto l’impegno con cui in questi anni ho seguito i progetti di Unicef sul nostro territorio perché testimoniano un reale impatto positivo a livello comunitario, molto più importante di qualsiasi onorificenza».

Chi è e cosa fa Virginia Barchiesi al di fuori dell’impegno civile e sociale?
«Al di fuori del mio impegno civile sono prima di ogni altra cosa una studentessa di liceo ancora per un anno ed è questa l’attività a cui dedico più tempo insieme al volontariato. Sono poi appassionata di lingue: parlo inglese, francese, arabo e russo e sto imparando il turco! E soprattutto sono appassionata di letteratura: i miei autori preferiti sono Tolstoj e Proust ma anche Virginia Woolf, di cui porto il nome. Fuori dagli impegni intellettuali mi piace giocare a tennis e praticare yoga o meditazione ma soprattutto uscire con i miei amici nel fine settimana».

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Come ti vedi dopo la maggiore età e la fine degli studi superiori?
«Tra un anno avrò concluso il liceo e dunque mi iscriverò all’università. Mi piacerebbe studiare Scienze Politiche, specializzandomi in Relazioni Internazionali o Sicurezza Internazionale e poi lavorare in quest’ambito. Mi piacerebbe intraprendere la carriera diplomatica o lavorare per un’organizzazione internazionale come le Nazioni Unite o l’Unione Europea ma sempre nell’ambito della mediazione dei conflitti o della diplomazia umanitaria per essere al servizio dell’umanità dimenticata di vittoriniana memoria».

Più difficile coinvolgere nell’impegno i tuoi coetanei o convincere i “grandi” ad ascoltare i giovani?
«Sono due questioni interdipendenti e connesse. I giovani s’impegnano nel momento in cui sentono che le loro voci vengono ascoltate, che vengono riconosciuti come attori veri e propri nella vita delle loro comunità. I “grandi” ascoltano i giovani nel momento in cui riconoscono questo impegno. È dunque necessario lavorare di pari passo, in entrambe le direzioni, per far sì che noi possiamo avere il nostro ruolo riconosciuto nella comunità, impegnandoci attivamente per migliorarla».

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