Jesi-Fabriano

«Uno studio che si poteva evitare»

Il comitato Jesi in Comune contesta aspramente il progetto Jesi in Progress commissionato dall'amministrazione Bacci a Nomisma per delineare il futuro della città

Jesi in Progress al teatro Pergolesi

JESI – «Perché affidare uno studio su Jesi ad un imprenditore bolognese?» Questa è una delle tante domande che Jesi in Comune si pone in merito allo studio “Jesi in progress”. «Trentamila euro sono il costo sborsato dal comune, il resto concesso da Maccaferri a quanto ammonterebbe? Il tutto – continua il comitato politico – per uno studio che si poteva evitare: criticabile nel metodo, approssimativo nei presupposti (e in alcuni contenuti), e sbagliato nelle conclusioni. Si pretende – prosegue Jesi in Comune – di fare una ricerca esaustiva e che indichi le linee di indirizzo per lo sviluppo della città con “interviste ad alcune centinaia di persone”. Ma per quanto queste persone possano essere rappresentative (ma chi sono? quante di preciso? come sono state scelte?), abbiamo qualche dubbio sul fatto che le interviste “a campione” e i focus group permettano di comprendere in modo approfondito quali siano le caratteristiche attuali del nostro tessuto socio-economico, quali le problematiche e i punti di forza, e quali, dunque, le prospettive più realistiche».

«Superficialità nel metodo e risultati approssimativi ma anche errori: preso per buono il mito di Jesi “piccola Milano” – sottolinea sempre il comitato politico, che a breve dovrebbe formalizzare la candidatura di Samuele Animali -, l’indagine ha in realtà appioppato alla città un “appellativo posticcio perché «lo sviluppo del settore secondario jesino (e della Vallesina), già a cominciare dagli anni Trenta ma soprattutto nell’epoca della ricostruzione postbellica, poco o niente ha a che spartire con quello milanese. La nostra – salvo eccezioni durate poco e finite male – è stata un’economia industriale basata su una piccola e media impresa alimentata, direttamente o indirettamente, dal settore agricolo. E strutturata in parte su modelli di gestione familiare e in parte su capitale proveniente da “fuori” (questo sì), ma che arrivava in Vallesina per impiantare fabbriche che avevano a che fare con le produzioni del territorio (c’è un’unica eccezione: la fabbrica di velivoli da guerra Savoia-Marchetti: operazione voluta dai gerarchi fascisti che è sopravvissuta pochi anni)». Ecco perché, per Jesi in Comune, delineare uno studio che prospettiva la costruzione di una “piccola Torino”, «è un bluff. Per andare nella giusta direzione – conclude il comitato politico -, bisogna conoscere bene il proprio passato per poi delineare insieme agli jesini il futuro della città ma partecipazione, confronto e co-responsabilizzazione dei cittadini nelle scelte sono parole assenti dal vocabolario dell’attuale amministrazione a giunta Bacci».

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