Jesi-Fabriano

«Una scelta di legalità»: all’IIS Marconi- Pieralisi di Jesi la toccante testimonianza della vittima di mafia Tiberio Bentivoglio

«L’arma più micidiale che la malavita ha è il nostro silenzio, il girarsi dall’altra parte, il sottometterci. Oggi un mafioso è difficile da riconoscere. E ci sono tanti modi di pagare il pizzo».

Tiberio Bentivoglio

JESI – Sette attentati, la sua vita e quella della sua famiglia costantemente sotto minaccia per aver detto “no” alla ‘Ndrangheta. Minacciato, ferito, vittima di danneggiamenti nella sua attività commerciale e continuamente nel mirino della malavita per aver rifiutato il pizzo, chiesto da quello che, solo oggi, rivela essere stato un suo parente affiliato alla mafia. E’ la storia toccante di Tiberio Bentivoglio, testimone di verità come si definisce lui e vittima di mafia, ospite dell’incontro web dal titolo “Una scelta di legalità” organizzato dall’IIS Marconi-Pieralisi di Jesi, nell’ambito delle iniziative inserite nel Piano dell’Offerta Formativa “Legalità e Cittadinanza Attiva”.

L’incontro con Tiberio Bentivoglio

Di fronte a 250 studenti, sotto il coordinamento della docente Rita Armati – referente dell’Istituto per la legalità – e con l’intervento preziosissimo del Procuratore Vincenzo Macrì, uno dei massimi esperti a livello internazionale di mafia e soprattutto di ‘Ndrangheta (già Procuratore generale della Repubblica ad Ancona e componente della Direzione nazionale Antimafia e della DDA di Reggio Calabria), Tiberio Bentivoglio ha ripercorso le tappe dolorose del suo incontro con la mafia.

«Ero un commerciante – racconta – con un’attività di sanitaria e prodotti per mamme e bebè, un inno alla gioia della vita che andava molto bene tanto che stavo per inaugurare un secondo grande store il 25 aprile 1992. In quel momento bussò alla mia porta un messaggero, che mi disse che per inaugurare il negozio dovevo avere il loro permesso e che mi avrebbe fatto sapere quanto dovevo pagare per poter alzare le serrande ogni mattina…». Una storia lunga e difficile, dolorosa.  «Non avrei mai pagato il pizzo, dare denaro alla malavita è svendere la propria dignità», insiste Bentivoglio, che ammette anche di aver contratto debiti perché a causa dei danneggiamenti, degli attentati e delle bombe fatte esplodere nel magazzino del suo negozio, non è riuscito a pagare l’affitto, i dipendenti e le tasse, indebitandosi.

Ha avuto aiuti dallo Stato, ma tardivi (dopo 4 anni) e parziali, insufficienti a colmare i debiti che nel frattempo si erano accumulati. Ma ha sempre e comunque denunciato. «L’arma più micidiale che la malavita ha non sono i proiettili ma il nostro silenzio, il girarsi dall’altra parte, il sottometterci – continua – una volta la ‘Ndrangheta era al sud e sparava, oggi i mafiosi si sono spostati andando dietro all’odore del denaro e li troviamo al nord Italia e in Europa. Oggi non minacciano, non sparano ma ti sorridono e colpiscono perché hanno i soldi in tasca. Oggi un mafioso è difficile da riconoscere: può essere uno studente, un avvocato, un magistrato, un prete. E ci sono tanti modi di pagare il pizzo».

Oggi Bentivoglio ammette ciò che gli è mancato di più in questi anni di vita sotto scorta: «fare il nonno, poter accompagnare la mia nipotina a scuola, alle giostre o al parco senza che lei rischi». L’IIS Marconi-Pieralisi ha partecipato insieme a molti altri istituti italiani alla raccolta fondi “Un seme per Enza e Tiberio”, con cui sono stati messi insieme 60.000 euro per aiutare Bentivoglio e la sua famiglia a rimettersi in piedi. Oggi la testimonianza di Tiberio Bentivoglio è simbolo di coraggio e di resistenza alla mafia.

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