Jesi-Fabriano

Pronto Soccorso di Jesi, quell’imbuto da rovesciare

Il documento conclusivo dei lavori delle commissioni sulla sanità del Consiglio comunale, sottoscritto da tutti i capogruppo di maggioranza e opposizione, dà la sua lettura del servizio sanitario a Jesi

L'esterno del Pronto Soccorso dell'ospedale Carlo Urbani di Jesi

JESI – Una utenza da informare di più e meglio, per aiutarla a fruire in maniera consapevole e adeguata di un Pronto Soccorso posto sotto stress dalla carenza, o dall’utilizzo sottodimensionato, di strutture alternative, oltre che dall’essere divenuto «una sorta di “imbuto” per l’intera Vallesina». È la lettura che dà, della situazione del servizio sanitario a Jesi, il documento ufficiale, sottoscritto da tutti i capogruppo, di maggioranza e opposizione, del Consiglio, con il quale la Seconda Commissione Consiliare permanente e la Commissione Sanità, in seduta congiunta, hanno chiuso la loro attività a fine legislatura. «Il documento- spiegano le commissioni- è integrato da proposte che si ritiene debbano essere portate all’attenzione dell’Asur e della Regione Marche come contributo per affrontare in maniera completa e risolutiva le criticità ormai non più sostenibili». Altri nodi da sciogliere il rapporto con la medicina di base, il peso delle liste d’attesa, il «numero dei posti letto disponibili che attualmente risulta del tutto inadeguato alle esigenze dell’utenza».

Il Pronto Soccorso del Carlo Urbani, spiega la relazione, è «spesso considerato dall’utenza un canale preferenziale in cui, a qualsiasi ora del giorno e della notte, si riversa ogni tipo di problematica, senza alcuna distinzione tra urgenti e differibili, che potrebbero essere tranquillamente gestite dal medico di medicina generale in sede ambulatoriale o domiciliare. Tutto questo è attribuibile alla mancanza di strutture adeguate in ambito territoriale, strutture che possano assicurare la presa in carico delle problematiche non urgenti degli stessi cittadini. Aggravano la situazione anche una evidente scarsa informazione su come il Pronto Soccorso dovrebbe essere utilizzato e la necessità (spesso in vero una sorta di scorciatoia) di evitare le attese interminabili per l’esecuzione di una visita specialistica o di un esame strumentale, prenotati tramite Cup».

Il Pronto Soccorso risulta essere quasi sempre in grado di dare una risposta adeguata ad ogni tipo di esigenza, valuta e tratta circa 30.000 casi all’anno. «Non risulterebbero- dicono i consiglieri- neanche esserci percentuali elevate di denunce per negligenza o per imperizia o per mancata appropriatezza delle cure nei confronti degli operatori dello stesso». Ma «L’utenza, allo stato attuale, non risulta adeguatamente informata sulle alternative che ha a disposizione per evitare le lunghe file in P.S., quando vi giunge per motivazioni improprie. Da qualche tempo gravitano su Jesi ben due Punti di Assistenza Ambulatoriale Territoriale (detti PAT, un tempo PPI), di Chiaravalle e Cingoli. Strutture della cui esistenza la popolazione è scarsamente o non correttamente informata». Inoltre a seguito della chiusura dell’ospedale di Chiaravalle, molto spesso i pazienti vengono convogliati su Jesi per problematiche sempre più gravi. Un ulteriore carico di malati su un ospedale che, già di suo, possiede un’utenza ampia, senza un corrispondente e proporzionato incremento della dotazione organica.

Si punta il dito anche su una «medicina di base che non sempre appare pienamente “collaborativa”, perché spesso capita di accettare pazienti inviati dal proprio medico di medicina generale al solo scopo di eseguire esami strumentali che, se prenotati tramite Cup, non permetterebbero di arrivare a una diagnosi entro breve, per colpa delle lunghissime liste di attesa. Tutti i pazienti che il Cup non accetta vengono inviati automaticamente e erroneamente in PS». Ricordano i consiglieri che «superare la lista d’attesa in ospedale è possibile: la legge lo consente ed è un diritto di ogni ammalato. Chi è costretto ad aspettare tempi superiori rispetto a quelli stabiliti dalla legge per una visita medica specialistica o un esame diagnostico, può chiedere che la stessa prestazione gli venga fornita nell’ambito dell’attività libero professionale intramuraria (anche detta intramoenia) del singolo medico, senza costi aggiuntivi rispetto al ticket già pagato. Impegno di Regione e Asur dovrebbe essere riorganizzare le modalità di accesso alle prestazioni ambulatoriali, anche differenziando i primi accessi da quelli successivi e individuando spazi differenziati per l’erogazione delle prestazioni, secondo tempi dettati da criteri di priorità clinica (Urgente a 72 ore, Breve a 10 giorni, Differibile a 30-90 giorni, Programmata a 180 giorni)».

Infine i posti letto. «Il tasso di posti letto è stato portato al 3,7 per mille abitanti. L’ambito territoriale di Jesi è costituito da 21 Comuni, e il bacino di utenza è di circa 102.000 abitanti, per un territorio di 673 Kmq. In base a tali numeri, la dotazione dei posti letto del “Carlo Urbani” dovrebbe essere di 377 (quello di Jesi è l’unico ospedale di riferimento di tutta la Vallesina). L’insufficienza dei posti letto comporta una inevitabile ricaduta sul Pronto Soccorso. Le giornate di degenza spesso risultano eccessive. A volte si tratta di pazienti realmente non dimissibili, altre volte invece si ha a che fare con pazienti che necessitano di essere presi in carico da strutture residenziali che in zona sono presenti ma purtroppo risultano insufficienti e poco ricettive per una popolazione sempre più anziana, dotata di pluripatologie e che non può essere gestita a domicilio».

Infine «Alle lunghe attese di alcuni pazienti in PS contribuisce anche il fatto che il personale medico-infermieristico è chiamato a dedicare gran parte del suo tempo e della sua attenzione a tutto ciò che rientra nella sfera dell’Emergenza/Urgenza, accantonando momentaneamente tutte le problematiche minori, in particolare quelle che non sono assolutamente pertinenti all’ambito del PS stesso. Si apprende dai giornali della fuga di medici e infermieri dal P.S. di Jesi, una scelta che preoccupa e quasi obbligata per colpa di un carico di lavoro enorme (spesso insostenibile), a cui evidentemente non si è data una risposta pienamente adeguata. Va evidenziata anche la situazione di carenze riguardanti ad esempio il reparto di Bronco Pneumologia. La guardia medica posta all’interno della struttura ospedaliera potrebbe contribuire alla definizione della gravità degli accessi, smistando gli utenti che necessitano di una immediata diagnostica, ed evitando ad altri l’accesso al pronto soccorso, con la prescrizione da subito di cure adeguate. Vanno inoltre implementati percorsi di fast track e la disponibilità di diagnostica con orari più ampi rispetto all’attuale situazione».

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