Jesi-Fabriano

Paolo Iabichino: «Non si può parlare di brand senza parlare di indentità»

Comunicatore dell'anno 2018, è il nuovo presidente del Comitato Scientifico del Brand Festival, al via domani venerdì 29 marzo con 8 giorni di discussione, progettazione e confronto sull'identità personale, aziendale e territoriale. Ecco l'intervista

Paolo Iabichino, presidente comitato scientifico Brand Festival 2019

JESI – Parola d’ordine “Contaminazione” per la prima giornata del Brand Festival di Jesi, venerdì 29 marzo, con confronti, talk e sfide per creare una cultura dell’identità attraverso il dibattito. A Palazzo dei Convegni si inizia alle ore 16 con l’inaugurazione della mostra “Bill” – la réclame vista attraverso le opere del leggendario Bill Bernbach, il pubblicitario più famoso del XX secolo- e con la sfida “Brand Kaleido” ovvero 5 Brand italiani a confronto con le domande che non oserebbero mai fare ad un’agenzia di comunicazione; alle ore 18 si prosegue con la tavola rotonda “Tra le Marche e il mondo”, con i top manager e i rappresentanti di IGuzzini, Fileni, Elica, Gruppo Angelini, Gruppo Cimbali, Procter&Gamble, Bmw, e si chiude la serata alle ore 21.15 con Francesco Morace, fondatore e presidente di Future Concept Lab e ideatore del Festival della Crescita.

Il giorno dopo, sabato 30 marzo, si punta la sveglia all’alba per uno degli eventi più curiosi della terza edizione della rassegna, il laboratorio “Siamo alla frutta” tra i banchi dei contadini al Mercato delle Erbe (ore 6.45). E così via di seguito, per un Brand Festival senza soluzione di continuità fino al 5 aprile con 50 eventi, oltre 100 relatori, 30 brand grandi e piccoli che si raccontano, 8 giorni di discussione, confronto e progettazione sull’identità personale, aziendale e territoriale che coinvolgono l’intera città.

Nato nel 2017 da un’idea di Graziano Giacani, che ne è l’infaticabile motore, e organizzato da Associazione Culturale Brand Festival in collaborazione con Comune di Jesi e Cna, il Brand Festival si avvale da quest’anno dell’aiuto di Paolo Iabichino quale presidente del comitato scientifico. Vincitore del Premio Emanuele Pirella “Comunicatore dell’anno”, in pubblicità dal 1990, Iabichino ha inventato e declinato il concetto di “Invertising” (diventato anche un libro nel 2010) per indicare la costruzione di messaggi pubblicitari capaci di sollecitare condivisione, partecipazione e interazione tra aziende e clienti.

Insegna in diverse università, scrive su Wired Italia e tiene corsi e seminari sulle trasformazioni in atto nel mondo della comunicazione. Nel 2014 ha pubblicato Existential marketing. I consumatori comprano, gli individui scelgono. Nel luglio 2017 ha pubblicato, con Codice Edizioni, Scripta Volant – un nuovo alfabeto per scrivere (e leggere) la pubblicità oggi. Per il biennio 2018/2020 è stato scelto dalla Scuola Holden di Alessandro Baricco per essere il Maestro del College Digital dedicato alla narrazione transmediale.

La conferenza stampa di presentazione del Brand Festival 2019

Quella del 2019 sarà l’edizione dedicata al tema dell’identità, perché – spiega Iabichino «non sì può parlare di brand senza parlare di identità. Brand Festival è soprattutto un appuntamento per incontrare il tema identitario. Il Branding è solo un pretesto».

Da festival dell’identità di marca a festival italiano dell’identità. Si allarga il punto di vista del Brand Festival?
«La marca resta centrale. Ma ci piaceva assumere un connotato nuovo, che parla di identità sportiva per esempio, identità culturale, tutte forme identitarie che chiamano a Jesi testimonianze di valore come quella di Mancini – allenatore della nazionale italiana – o i Musei d’Impresa per quanto riguarda l’identità culturale. Il Brand Festival non vuole dissertazioni politiche, però si assume la responsabilità di una discussione aperta e sincera sul valore dell’identità nella contemporaneità. Partendo da quella dei brand che è nell’origine del Festival, per abbracciare finalmente nuove riflessioni che allargano il punto di vista, senza snaturare le origini».

Il tema dell’identità è diventato centrale nella narrazione politica. Cosa sta cambiando nella narrazione di marca? Quali le scelte che stanno facendo i brand in proposito?
«Sono sempre di più le marche che stanno scegliendo una nuova narrazione, capace di sintonizzarsi con i destini delle persone a cui si rivolgono. Sono racconti empatici, che risuonano con le identità dei propri pubblici. In questo senso, soprattutto negli Stati Uniti, sono sempre più numerosi i brand che si schierano, prendono posizione e decidono di dire da che parte stanno, anche attraverso la pubblicità. Di questo parlerò all’interno del modulo formativo previsto per la seconda giornata del Festival».

Di sé in conferenza stampa ha detto «Sono un pubblicitario» termine unico spesso sostituito da una selva di definizioni, molte impronunciabili, acronimi e sigle, che si riferiscono a diverse specializzazioni nei settori della comunicazione, del marketing, della creatività. Che identità è, oggi, quella del pubblicitario?
«È un’identità frastagliata, fatta di tante conoscenze e competenze. È simile a quella del curatore di una mostra. Il Direttore Creativo contemporaneo oggi è chiamato a scegliere una linea editoriale e poi deve saper chiamare a sé le migliori competenza per scaricare a terra la sua regia. Io mi trovo oggi a scrivere direzioni strategiche e creative, scrivendo come si scrivono i trattamenti di regia. I miei clienti lo sanno. Hanno pagato per leggere una visione e questa visione non contiene ancora la soluzione del problema, bensì una traccia editoriale, un percorso strategico e creativo che si esprime attraverso la scrittura del trattamento. Poi potrò lavorare con le sue agenzie, oppure con una rete di partner che lavorano a stretto contatto con me. Questa è un’identità del tutto nuova, impossibile da adottare all’interno delle agenzie o dei gruppi di comunicazione. Però riflette la contemporaneità della professione che non può più essere quella di chi guarda il lavoro della coppia creativa e stabilisce se sia giusto o sbagliato».

Tutti inseguono i millennials attraverso i canali social e gli influencer. È una strategia che ripaga i brand?
«Ci ho scritto un capitolo del mio Scripta Volant su questo tema. È giusto se lo si fa rispettando le sensibilità di questi pubblici. È sbagliato se lo si fa senza ascoltare le reali tensioni che muovono queste ragazze e questi ragazzi».

Immagini di essere il direttore creativo di una campagna per aiutare la rinascita dei nostri territori colpiti dal terremoto tra la SAE (le casette) e tonnellate di macerie ancora da rimuovere. Cosa proporrebbe?
«Il tema è troppo serio e troppo doloroso per troppe persone per accettare di rispondere con superficialità. Non vogliatemene».

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