Jesi-Fabriano

«Non chiamatemi eroe né angelo bianco»: Annalisa Strappini pubblica le paure di una Oss in tempo di Covid

Il libro è un diario intimista sull'esperienza diretta vissuta in reparto, all'ospedale di Jesi. Il ricavato delle vendite andrà alla Fondazione Vallesina aiuta onlus

JESI – Le emozioni, le paure e le sofferenze di una Operatrice socio sanitaria dell’ospedale Carlo Urbani di Jesi nel periodo durissimo della prima ondata della pandemia di Covid-19. Sono raccontate da Annalisa Strappini, 38 anni nata a Jesi ma cresciuta a Cingoli, che dal 2006 lavora come Oss, prima nel piccolo presidio ospedaliero di Sassoferrato poi dal 2010 all’ospedale “Carlo Urbani” dove è attualmente in forze al reparto di Broncopneumologia. Questo stesso reparto che nei mesi da marzo a maggio 2020 si è trasformato in reparto di cura per i malati positivi al Coronavirus. Proprio quel periodo è raccontato con grande sensibilità e cura nel suo libro d’esordio Non chiamatemi eroe né angelo bianco in vendita presso le piattaforme online della casa editrice Montedit. La incontriamo.

Annalisa Strappini mostra il suo libro

Annalisa, come è nata l’idea di un diario sulla pandemia?
«Per quanto ami il mio lavoro, dubbi e preoccupazioni più volte mi hanno destabilizzata in questo periodo. Non è stato facile trovarsi ad assistere persone malate totalmente sole, nella paura costante del contagio. Poi nella prima fase non sapevamo bene che razza di virus fosse, come dovevamo regolarci. Non era semplice parlarne con i colleghi, già molto sotto pressione; né con le persone all’esterno spaventate e confuse e che non avrebbero capito. Così ho scritto tutte le emozioni, le paure, le sofferenze. Tutto quello che accadeva in reparto e come la mia vita domestica (convivo e sono mamma di due bambini di 4 e 8 anni) sia stata completamente stravolta dal lockdown totale cui siamo stati sottoposti a marzo dello scorso anno».

Perché ha scelto la forma del diario?
«Volevo che fosse più intimo, più diretto. Una specie di testimonianza da tramandare un domani ai più giovani, non solo ai miei figli ma anche ai miei nipoti se Dio vorrà, e ai ragazzi che si chiederanno cosa è successo nel 2020».

Quale la difficoltà più grande al lavoro?
«Sinceramente dover stare per 8 ore di fila dentro a quegli scafandri bianchi, quelle tute dove non passava aria e che non potevamo togliere perché ne avevamo pochissime e non potevamo sprecarle. Quindi non potevi bere, mangiare o andare in bagno finché l’avevi addosso. Sentivo il sudore che colava dappertutto e il respiro che mancava, tante volte mi sembrava di svenire dentro quegli scafandri. Anche per questo motivo ho deciso di devolvere il ricavato della vendita in beneficenza alla Fondazione Vallesina Aiuta onlus, che ci ha sostenuti moltissimo fornendoci altre tute e consentendoci cambi più frequenti».

Emotivamente che esperienza è stata?
«Durissima, difficile. Quel che sconvolgeva di più era il dover rinchiudere i pazienti dentro l’ospedale come se fossero in carcere, sostituirci in tutto e per tutto ai loro familiari. E vedere chi purtroppo moriva da solo. Terribile».

Nel libro si parla anche di storie dirette?
«Sì, ho avuto i consensi dei diretti interessati a raccontare le loro vicende. Quelle che mi hanno colpito di più, ovvero il ricovero di un 30enne che doveva sposarsi entro l’anno ma era stato colpito da una forma tremenda di Covid, lo avevamo intubato tre volte e ha dovuto anche ricorrere all’alimentazione artificiale. Che paura per lui, pregavamo tutti affinché si riprendesse. È stata dura ma ce l’ha fatta, al culmine di un travaglio durissimo, poi è tornato a trovarci. E anche un 40enne che per primo ha sperimentato il plasma iperimmune, grazie al quale ne è venuto fuori».

Che messaggio vuol dare con questo libro?
«Credo che questo periodo difficile mi abbia fatto riflettere su ciò che conta davvero nella vita, ovvero gli affetti, la bellezza della natura così come Dio ce l’ha donata. Spero che la lettura di questo piccolo testo possa far riflettere anche il lettore su ciò che conta davvero nella vita e dare consapevolezza su quanto un’assistenza umana fatta con il cuore sia più feconda di un’assistenza data con freddezza, senza empatia».

La copertina: verde, perché?
«Verde è il colore delle prime divise di noi Oss. Volevo che fosse un omaggio al nostro lavoro, che talvolta viene sottovalutato, mentre invece è importante. Credo che per garantire una buona assistenza e cura al paziente sia necessaria l’integrazione di tutte le figure sanitarie, dal medico all’infermiere e Oss. Poi in copertina ho voluto un quadro realizzato dalla collega Carla Pistola, bravissima pittrice, che rappresenta tante mani che si intrecciano: c’è bisogno di mani di diversi professionisti che collaborino insieme per un efficace rapporto di cura con chi sta male, così come i componenti di ogni nucleo familiare devono unirsi per superare ogni situazione specie le più difficili».

Però dal titolo si evince una sorta di recriminazione…
«Esatto. È bellissimo e lusinghiero essere definiti angeli bianchi o eroi, ma non può essere una definizione che ci viene data quando si ha bisogno e poi dimenticarsene a emergenza passata e cambiare idea, additandoci come complottisti, conniventi con chi marcia su questa situazione etc. La società italiana è contorta, questo lato polemico non mi piace affatto».

Un libro d’esordio: pensa che scriverà ancora?
«Questo libro mi sta dando molta soddisfazione, pertanto non lo escludo. Cioè sto scrivendo, poi vedremo strada facendo».

Il libro è disponibile sulle piattaforme online della casa editrice Montedit, IBS libri, libreria universitaria, Amazon. Oppure presso Libreria Incontri di Jesi, Libreria “Gira e Volta” di Jesi, cartolibreria “Togliti il pensiero” di Moie di Maiolati Spontini.

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