Jesi-Fabriano

Moncaro, un anno di rilancio dopo il Covid nel segno della ricerca e del vigneto del futuro

L'azienda cooperativa con sede a Montecarotto guarda con attenzione al futuro del vino, per la tutela di consumatore e territorio ma anche per valorizzare particolari zone di produzione. L'incontro col presidente Doriano Marchetti

La bottaia di Moncaro a Montecarotto

MONTECAROTTO – E’ stato l’anno della ripresa, dopo le difficoltà del periodo del Covid. Numeri in crescita e sguardo deciso verso un futuro green e sostenibile per l’azienda cooperativa Moncaro, che con i suoi 1200 ettari che rappresentano circa 800 soci e le tre cantine di Montecarotto, Camerano e Acquaviva Picena rappresenta un’istantanea della viticoltura marchigiana, o almeno di quella che riguarda le province di Ancona e Ascoli Piceno. Il 2022 è stato un anno decisivo per la ripresa, ma anche per gli investimenti effettuati in ricerca e sviluppo, oltre che nelle pratiche di mitigazione degli effetti del cambiamento climatico sulla vite. «Ogni anno reinvestiamo il 3% del fatturato in ricerca e sviluppo – spiega il presidente di Moncaro, Doriano Marchetti – il nostro ruolo di capofila regionale nella ricerca agronomica ed enologica ci consente di creare cultura diffusa e di sperimentare soluzioni innovative per mitigare gli effetti del cambiamento climatico sulle produzioni. I risultati dei nostri impegni sono stati portati avanti insieme alle università e ai maggiori enti di ricerca e presto diventeranno un patrimonio comune e condiviso di conoscenza scientifica».

Presidente, in generale che 2022 è stato per la Moncaro?
«Dal punto di vista commerciale un anno positivo, che ha fatto registrare una crescita sia nei canali italiani di Horeca (hotel, ristorazione e catering, ndr) e di grande distribuzione, sia all’estero, tenendo conto che alcuni mercati dopo il Covid si sono riaperti, come nel caso di Inghilterra e Giappone. Il lato negativo è rappresentato, però, dai forti incrementi dei costi delle materie prime utilizzate, dai vetri ai cartoni a tutto quello che va a comporre il costo della bottiglia. E, non ultimo, il costo dell’energia elettrica. Anche se noi abbiamo un 40% di energia elettrica fornita dai pannelli fotovoltaici, che a Montecarotto abbiamo intenzione di ampliare, e che a Camerano e Acquaviva Picena renderanno presto indipendenti le nostre due cantine».

Quale la specialità trainante e quale quella più in crescita o con maggiore richiesta?
«La parte da leone la fa sempre il Verdicchio dei Castelli di Jesi, per noi, che si conferma in assoluto il vino delle Marche che trova maggior riscontro. Poi quest’anno abbiamo avuto un notevole successo con i rossi del Conero, in particolare con il Nerone Conero Docg Riserva che è stato premiato in parecchi concorsi internazionali e ha trovato notevole riscontro da parte dei consumatori».

Siete all’avanguardia per gli investimenti green e per la viticoltura rivolta al futuro: da dove nasce questa scelta?
«Abbiamo cominciato a sperimentare la coltivazione biologica nel 1980. Chi gestiva la cantina allora ha avuto una visione di quello che sarebbe successo a distanza di tanti anni, nella realizzazione di un prodotto più rispettoso del consumatore e del territorio. Un traguardo che però non esaurisce lo sviluppo: in agricoltura biologica c’è la necessità di ridurre l’uso del rame e gradualmente si cercano di trovare alternative per la lotta alla peronospora (una grave malattia della vite, ndr). C’è la necessità di localizzare trattamenti fitosanitari, di concimare in maniera razionale. Tutto questo per arrivare a una gestione più mirata del vigneto, una gestione che sia capace di prevedere quello che potrebbe succedere, costruendo dei modelli preditivi che permettano di gestire al meglio e di preservare il vigneto. Poi c’è l’aspetto in cantina: gestire le fermentazioni e le vinificazioni in modo che si possano ottenere risultati attesi».

Perché la vostra produzione coinvolge cantine e vigneti sparsi un po’ ovunque, nelle province di Ancona e Ascoli Piceno.
«Gestiamo un territorio di 1200 ettari soprattutto su due aree, quella di Ancona con le uve verdicchio, lacrima di Morro ed essenzialmente montepulciano per il Conero, e nella zona di Acquaviva Picena soprattutto le uve montepulciano passerina e pecorino. Con zone diverse e altitudini differenti da cui nascono vini completamente diversi. L’obiettivo del nostro progetto è anche quello di caratterizzare i vini delle diverse zone, aumentandone la possibilità di essere distinguibili, sempre attenti anche alla tracciabilità del prodotto». Moncaro sta infatti utilizzando strumenti mirati allo studio delle potenzialità dei diversi vigneti, che consentono, attraverso le cosiddette microvinificazioni sui vigneti monitorati, di sviluppare nuovi prodotti per valorizzare singole zone di produzione, creando valore aggiunto per i soci della cooperativa.

Presidente, può spiegare la novità del recupero di anidride carbonica in cantina?
«Tra i vari progetti che portiamo avanti ce n’è uno legato al concetto di economia circolare, che ci permette di recuperare la Co2 della fermentazione del mosto sia da riutilizzare sia nel processo produttivo, sia per produrre alghe che poi sono usate come fertilizzante nel vigneto».

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