Jesi-Fabriano

Jesi, il medico di famiglia sul coronavirus: «Ciascuno di noi è responsabile per gli altri»

Per tutelare la salute pubblica, sostiene Guglielmo Cherubini, è fondamentale tornare a investire sul sistema sanitario nazionale, invertendo il trend degli ultimi due decenni

Guglielmo Cherubini

JESI – In prima linea contro il coronavirus. Accanto ai professionisti ospedalieri, determinante è il ruolo che stanno svolgendo i medici di famiglia. Ma, a differenza dei primi, devono faticare un po’ di più per recuperare mascherine e camici. Sono “al fronte” fin dal primo giorno della pandemia, monitorano i pazienti e forniscono il primo supporto ai malati.

«Siamo certamente ancora in una fase di aumento della frequenza dei casi rispetto all’inizio dell’epidemia – il commento del medico di famiglia, Guglielmo Cherubini -. C’è ancora molto da imparare su questo virus, ma se guardiamo l’evoluzione della situazione in Cina e Corea ci dovremmo aspettare, tra la prima o seconda settimana di aprile, un rallentamento se non addirittura un arresto della progressione dei contagi. Questo non significa abbassare la guardia, ma è almeno il primo passo per vedere la luce al di là del tunnel. Ma non è matematico, i virus sono strutture non vitali che non sopravvivono al di fuori dei loro ospiti. Senza contatti non ci sono contagi e senza contagi la popolazione virale perde le sue battaglie o, altrimenti, le vince. Dipende da noi, dai nostri comportamenti e non dal virus, come andrà a finire questa guerra. Ecco perché è importante cambiare radicalmente le nostre abitudini di vita. Isolamento domiciliare più possibile e allontanamento sociale. È un grosso sacrificio che viene richiesto a tutti noi ma efficace per vincere questa guerra».

Dovremo ancora stringere i denti, tenere duro, ed evitare di uscire di casa. Ma, prima o poi, ne usciremo. «La tutela della salute è uno dei principali obiettivi di qualsiasi Paese democratico e per ottenerla è necessario investire sul proprio Sistema Sanitario – l’opinione di Cherubini -. Invece, negli ultimi vent’anni, abbiamo assistito ad un marcato smantellamento di questo sistema accecati dalla spending review, con riduzione dei posti letto, del personale medico e paramedico ed oggi come si vede ne paghiamo pesantemente le conseguenze. Bisognerebbe avere l’umiltà di capire che ci sono forze che vanno oltre la nostra capacità di controllo. In questo caso, i virus sono i padroni del mondo e lo possono dimostrare quando vogliono. L’impatto con l’epidemia ci ha fatto scoprire altri aspetti della nostra società e della vita che troppo spesso si danno per scontati. Per esempio, il fatto che ciascuno di noi è individualmente responsabile della salute degli altri e del bene comune molto più di quanto ordinariamente lo percepisca. Questa crisi può rappresentare una grande opportunità di crescita e di maturazione collettiva, specie per le generazioni più giovani. Tutti possiamo cogliere la lezione dell’interdipendenza declinandola come educazione alla tutela della propria salute, responsabilità verso gli altri, dovere di solidarietà verso le persone più fragili, anche perché l’epidemia ci insegna che i più fragili da un momento all’altro potremmo essere proprio noi. Tutti possiamo capire che non si vive soltanto da soli e per sé stessi. Il virus ci invita a riflettere, meditare, non tanto sulla nostra fragilità (cosa che ci angoscia da sempre e ci angosciava anche prima), ma su concetti che ritenevamo scontati, come, ad esempio sulla nostra idea di libertà».

Libertà che raggiungeremo anche rinunciando, ora, a parte di essa. «Assistiamo a provvedimenti fortemente restrittivi in questi giorni – dice il medico di famiglia – . Provvedimenti temporanei, certo, ma che ci fanno ridimensionare il senso della parola libertà, quando ci troviamo a fare i conti niente di meno che con il destino. Il virus ci riconsegna una idea più sobria di libertà. Essere liberi vuol dire che la nostra libertà finisce quando inizia la libertà dell’altro e che dobbiamo fare ciò che, nella situazione, si deve fare».

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