Jesi-Fabriano

“Martiana”: un viaggio letterario nei misteri del biliardo e dell’amicizia maschile

Abbiamo intervistato il marchigiano Fulvio Greganti che nel suo quinto lavoro ci trasporta nell'affascinante mondo del biliardo e dell'amicizia maschile, guidandoci attraverso la provincia italiana degli anni '80 e '90

Fulvio Greganti

Il titolo è “Martiana” e sulla copertina appare il la lettera greca ψ (psi). Si presenta così il quinto libro di Fulvio Greganti, pubblicato dalla casa editrice bergamasca Leonardo J Edizioni, noto agente pubblicitario con la passione per la scrittura. Il romanzo racconta la storia di Paolo Tamburini e Francesco Omiccioli, discendenti di rispettive famiglie borghesi (i primi falegnami, i secondi uomini di mare e albergatori), si intrecciano nelle vicende di adolescenza condividendo interessi comuni. Il cuore dei loro incontri è un noto bar nel territorio di Martiana, frequentato principalmente da appassionati di stecca.

L’autore ci svela che i protagonisti avranno un mentore, figura che, tramite i primi insegnamenti del gioco, li guiderà non solo nella loro performance a biliardo ma anche nei meandri della vita. La trama si snoda nella provincia italiana, un contesto dove il tradimento è percepito come una colpa da espiare, e le autentiche emozioni trovano rifugio nel verde tappeto da gioco, autentico catalizzatore di passioni. L’opera gode dell’introduzione di Michele Iozzino, il quale, in poche ma ispirate pagine, esalta il valore dell’amicizia tra uomini, elevandola quasi a dimensione divina, radicata nella notte dei tempi. 

Nella tua ultima fatica letteraria parli di una realtà di provincia che sembra distante anni luce da quella odierna, il biliardo, i valori, l’amicizia, il mentore. È una provocazione contro l’individualismo dei giovani di questo periodo?
«Nessuna provocazione. Il lavoro parla degli anni ’80 e ’90 e l’associazionismo non era istituzionalizzato ma libero. Ci si vedeva e si socializzava. Non voglio neanche fare il passatista e il nostalgico a tutti i costi. Alcune piccole nicchie di sano “provincialismo” esistono anche oggi».

Nel tuo precedente romanzo era il tennis, in “Martiana” è il biliardo all’italiana il filo conduttore nelle vite dei protagonisti. Perché questa scelta?
«La scelta è risarcitoria. Fino a metà anni ’90 il gioco della stecca era ai vertici della visibilità. I film di Francesco Nuti, le dirette di Sky. Poi, improvvisamente, il buio. Il mio è anche un intento formativo. Come ho scritto, chi gioca a stecca predilige il silenzio, si deve concentrare, deve essere bravo, in forma fisicamente. Insomma, non ci si può improvvisare. Anche questo gioco ha sofferto di un’eccessiva americanizzazione (e non lo dico da antiamericano per partito preso) ed è stato accantonato dallo snookers».

Nella storia hai inserito alcune citazioni letterarie come Lord Byron e Saint-Exupery, pensi davvero che la letteratura possa influire sulle scelte delle persone?
«Ci credo fortemente. Sono per la sacralità della persona e la lettura è una scelta dirimente. Inoltre sono un lettore forte. Non penso che bisogna leggere qualunque libro ma partire dai classici. A me dicono ad esempio che, come stile, richiamo i vari Dino Buzzati, Carlo Sgorlon e Giovannino Guareschi. Ne sono onorato».

Paolo e Francesco, i protagonisti, ad un certo punto di trovano all’università immersi negli studi di psicologia, presi delle loro dissertazioni. Questa simbiosi tra maschi sembra lasciare poco spazio all’amore verso le loro fidanzate, c’è qualcosa di autobiografico? 
«Il libro è una storia di amicizia al maschile. Nella letteratura, un tema non molto trattato. Da adolescenti capita molto spesso di avere delle vere e proprie infatuazioni. Paolo e Francesco, incoraggiati da Natale, incontrano la psicologia e non lo mollano più. Poi avranno anche loro delle famiglie più o meno tradizionali. È un po’ lontano dalla mia autobiografia. Non sono psicologo e non sono sposato». 

Nel libro sono citate le “costellazioni familiari”, una pratica che attira sempre più persone che hanno il desiderio di indagare nei loro rapporti parentali. C’entra forse qualcosa con il tuo desiderio di scrivere? 
«Le costellazioni familiari sono una pratica che soprattutto Francesco incontra in un evento all’università. Lui doveva risolvere qualcosa di non detto con la sua famiglia d’origine, uomini di mare e albergatori. Per quanto mi riguarda, il mio desiderio di scrivere nasce da adolescente, quando ho letto il primo fondo di Indro Montanelli. Mi sono sempre detto tra me e me che mi sarebbe piaciuto scrivere così, pulito e chiaro. Quello era il mio obiettivo. Forse irraggiungibile».

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