Jesi-Fabriano

Maiolati Spontini, scoppia la polemica sulla recita di Natale

Alla scuola Rodari si propone di ridimensionare la tradizionale festa per non dividere i bambini. Lega scatenata. Il Garante dei Diritti auspica un ripensamento. Il punto di vista di don Federico Rango

MAIOLATI SPONTINI – Recita di Natale ridimensionata, esplode la polemica alla scuola dell’infanzia Rodari della frazione di Moie. La proposta lanciata da alcune maestre di rinunciare alla “drammatizzazione” della natività rivedendo parzialmente la formula della festa in classe, mai formalizzata dalla dirigenza scolastica, scatena un vespaio di polemiche. L’obiettivo, stando a ciò che si dice, era quello di non costringere i bambini a dividersi in due gruppi nell’unico momento in cui si sarebbe messa in scena la nascita di Cristo, ma a qualche genitore non è andata giù l’idea e il caso è deflagrato. Recita e canti erano infatti confermati, vi sarebbe stato solo un ridimensionamento per non isolare gli alunni non cattolici.

«La festa si farà e l’inclusione non è togliere, ma casomai aggiungere», assicura la dirigente scolastica Patrizia Leoni, ribadendo che non si è nemmeno avuto il tempo di prendere in considerazione la proposta. Nulla cambia, insomma, rispetto a quanto organizzato negli scorsi anni. La politica, chiaramente, non è rimasta a guardare, con il centrodestra scatenato, Lega in testa. «È inaccettabile – tuonano i consiglieri regionali e i parlamentari marchigiani del partito di Salvini – vietare la recita di natale ai bambini, solo far prevalere visioni personali volte ad un revisionismo culturale strumentalizzando per fini politici persino uno dei momenti più amati dai bambini e dai loro genitori. Ognuno è libero di professare la propria fede, ma è anche tenuto a rispettare la storia e la cultura del paese dove vive e questa scelta di cancellare le nostre tradizioni e i nostri simboli culturali è divisiva e non favorisce nessun processo di integrazione culturale».

Sul caso interviene anche il Garante dei diritti, Andrea Nobili: «Impedire ai bambini di una scuola dell’infanzia di fare la recita di Natale mi sembra un errore e, per questo, spero che gli insegnanti tornino sui loro passi. Mettere in discussione quello che da sempre è un momento di condivisione e crescita, in nome di una presunta discriminazione di cui non si vedono i contorni è poco rispettoso della sensibilità di una comunità. Le discriminazioni si contrastano in altro modo, non negando momenti d’incontro, espressione di dimensione culturale che ha valori universali. E forse dovremmo ricordarci di quello che diceva anni addietro un grande intellettuale, Benedetto Croce, che riconosceva nel Cristianesimo una rivoluzione che tocca anche l’animo dei non credenti».

L’ordinazione a sacerdote di don Federico Rango accanto al vescovo Gerardo Rocconi

Dice la sua, affidandosi a Facebook, anche il giovane don Federico Rango, parroco di Jesi. «Avrete notato anche voi come di anno in anno i preparativi per il Natale si anticipano sempre di più: luminarie istallate, panettoni e pandori schierati, decorazioni e “regali ideali” già in bella mostra – scrive -. E così, con l’anticiparsi di tutto questo, non potevano non anticiparsi le tradizionali polemiche di qualche scuola che sceglie di non fare la recita di Natale. Il problema non è fare o non fare, permettetemi, ma il non pensare e il non dare senso alle cose. Non pensiamo fino in fondo la realtà che abitiamo: è multietnica, pluriculturale e scissa nelle sue fondamenta. Mi spiego. Il fatto che una scuola sia composta da varie nazionalità e culture religiose deve chiederci lo sforzo di entrare in nelle categorie di pensiero delle varie culture presenti, fra cui quella italiana – chiaro-, e questo entrare non può esser fatto per riduzionismi, togliendo presepi, recite e feste, o burka, come molti invocano nei commenti sempre più incommentabili che troviamo sotto ad articoli come questo. Bisogna vivere il presente accettando la tensione che la coesistenza di questi elementi differenti genera. Accettare che a fare l’angelo ci sia un bambino musulmano e che i nostri bambini imparino con curiosità le usanze del Ramadan, giusto per fare un’esempio. Ma il problema che più mi sembra emergere da questa polemica, puntuale come il raffreddore a novembre, è la scissione interna che viviamo. Gli stessi che chiedono il silenzio della chiesa sulle questioni sociali, sui migranti come sull’aborto, ora invocano prese di posizione; gli stessi che chiedono che tutti i preti vengano castrati per motivi precauzionali, ora si aspettano risposte che rassicurino il loro bisogno di “rispettare le tradizioni”. Ci diciamo cristiani, con il nostro credo, ma spesso, nelle scelte quotidiane lo mettiamo in un angolo, è cosa da vecchi. Io preferisco pensare. Preferisco pensare che rispettare il natale e la sua tradizione non è far una recita in cui, tra l’altro, emergono una serie di parole dolci che poco hanno a che vedere con il senso più profondo di quella rappresentazione, col solo scopo di farci emozionare e scattare la foto pronta per la sua divulgazione online; rispettare il natale significa immergersi nella scelta di Dio di entrare nella storia, di capire stando dentro la sua condizione, di portarlo ad una misura alta della vita facendosi carne in mezzo a noi. Non voglio ridurre il natale, e le recite, ad un semplice costume di scena che, subito dopo Halloween e poco prima di carnevale, siamo chiamati ad indossare. Serve pensare come Dio vuol farsi carne oggi; pensare come Dio chiede a noi di entrare dentro il mistero della vita umana, nostra e altrui; pensare come la fragilità di quel bambino nella greppia sia la condizione di ognuno di noi che siamo chiamati a servire reciprocamente. Pensare come, proprio quel bambino, è quell’uomo che dirà di essere venuto a radunare tutti i popoli sotto lo sguardo di amore del Padre. Pensare le scelte più adatte ad integrare, la scelte più adatte per educare all’accoglienza reciproca. Pensare a come educare a pensare. Credo che il pensare, oggi, sia la forma di incarnazione che ci manca, perché è proprio per via di poco pensiero che siamo così poco umani».

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