Jesi-Fabriano

Jesi, la storia di Marinella che ama l’Esino e salva dalle sue acque un bimbo

Il racconto della donna che ha salvato il ragazzino dalle acque del fiume Esino giovedì scorso

JESI – Marinella il fiume lo conosce da tutta la vita, lo osserva scorrere nel letto non troppo lontano dalla sua abitazione. Lo va a controllare nei momenti di tempesta, quando il livello si alza e straripa, lo controlla quando ha straripato per capire i danni provocati. Come fosse un po’ uno della sua famiglia da guardare da non troppo lontano. E per fortuna giovedì scorso lo ha fatto di nuovo, insieme alla sua cagnolina ha percorso la pista ciclabile di via Esino, parte della quale era crollata per via delle acque ingrossate dalla pioggia. E in quel momento, Marinella De Pasquale s’è trovata di fronte una situazione gravissima: un bambino che era finito in acqua e rischiava di essere trascinato via dalla corrente. Parte di questa storia, per fortuna andata a buon fine, l’avevamo raccontata. Ma oggi è lei, l’eroina a riannodare i fili della storia e dirci, con la sua voce, come sono andate le cose. Non per vanto, non è proprio il tipo, anzi. Lei così discreta rifiuta l’appellativo di eroina e ogni tipo di notorietà. Eppure questa bella storia di coraggio e solidarietà va raccontata, un esempio positivo di cui c’è tanto bisogno.

«Giovedì volevo vedere se c’erano state frane nella zona vicino casa mia – ci racconta Marinella – così sono uscita con la mia cagnolina lungo la pista ciclabile. Un pezzo era franato. E tornando indietro ho sentito delle urla di aiuto, sono andata a controllare e ho visto un bambino di circa 6 anni in piedi sulla pista ciclabile con lo sguardo impietrito rivolto verso il fiume, dove c’era il fratello più grande che sbracciava e tentava di tenersi aggrappato a degli arbusti…».

Cosa ha fatto?

«Non ci ho pensato troppo per la verità, mi sono fiondata ad afferrarlo, il bambino era in acqua annaspava e piangeva disperato. Il fratellino era talmente impaurito da non riuscire a muoversi, così gli ho detto di allontanarsi perché temevo che la terra, argillosa, potesse franare e finire dentro pure lui».

Ha pensato che stava rischiando anche lei stessa?

«Sì, ero consapevole che potevo finire in acqua anche io, ma non potevo fare altro. Non c’era nessuno, dovevo provarci».

Cosa strillava il bambino in acqua?

«Gridava “non voglio morire, non lasciarmi” e io l’ho tranquillizzato che non lo avrei mai mollato e che ce l’avrebbe fatta».

Ha avuto paura?

«Sì, ho avuto paura di non riuscire a mantenere salda la presa, perché la corrente era troppo forte».

Poi?

«Per fortuna si è avvicinato un uomo cinese, gli urlavo di aiutarmi, ma non sono sicura capisse la mia lingua. Poi ha capito, insieme abbiamo tirato fuori il bambino dalle acque gelide del fiume e lo abbiamo affidato alla madre».

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