Jesi-Fabriano

Jesi, giornata per la Pace, Giulio Regeni nelle parole dei suoi cari

Domani, 6 gennaio, Claudio e Paola Regeni saranno ospiti del convegno della Giornata per la Pace al Palazzetto dello Sport di Jesi. L'incontro organizzato grazie allo jesino Bruno Lasca: «Giulio era un ragazzo dalla mente aperta e curiosa»

Il manifesto sul balcone del Municipio di Jesi
Il manifesto sul balcone del Municipio di Jesi

JESI – Si terrà al Palazzetto dello Sport alle 17 di domani, 6 gennaio, l’incontro con Claudio e Paola Regeni, i genitori del ricercatore Giulio Regeni ucciso in Egitto a 28 anni nell’ambito della Giornata per la Pace. 

 

Nel nostro Paese sono stati tantissimi i comuni, gli enti e i luoghi di cultura che hanno aderito alla campagna nazionale per non permettere che l’omicidio del giovane ricercatore italiano finisca per essere dimenticato: “Verità per Giulio Regeni” lanciata da Amnesty International e La Repubblica, cui ha aderito anche il Comune di Jesi, su proposta della consigliera Agnese Santarelli (Jesi in Comune). Ad organizzare il pomeriggio di domani è stata la Consulta per la Pace, impegnata come tutti gli anni a dare un contributo significativo a questo 6 gennaio che inizia alle 11 all’ex Appannaggio con il corteo dei bambini fino in Piazza Federico II per il lancio dei palloncini (il programma completo), con la collaborazione dell’Avis di Jesi, della Pro Loco e del comune.

A fare da tramite con la famiglia Regeni è stato lo jesino Bruno Lasca, da anni trasferitosi a Fiumicello, paesino dove Giulio è cresciuto e ha studiato.
«Giulio aveva frequentato il laboratorio teatrale insieme alla mia compagna, Michela Vanni. Io ero preside della scuola media frequentata da Giulio, l’unica media di Fiumicello. I Regeni sono amici di famiglia».

La vicenda di Giulio Regeni ha toccato molte persone, come è stata vissuta in un paesino come Fiumicello?
«Fiumicello è un paesino di 4500 anime, ci si conosce tutti. Si avvertiva, si respirava un’aria pesante. Quando abbiamo saputo che era stato trovato il suo corpo, capitava che la gente si incontrasse in giro ma non parlasse».

Cosa raccontava Giulio del suo lavoro e dei suoi studi?
«Giulio aveva una mente aperta e curiosa. Ha terminato le medie a Fiumicello, poi si è trasferito per completare gli studi: era molto contento del suo lavoro di ricerca. Era entrato nel Collegio del Mondo Unito di Trieste e poi aveva studiato in un’altra sede del Collegio all’estero, in New Mexico, dove aveva concluso questo percorso. Giulio ha poi studiato a Cambridge».

Che ragazzo era Giulio Regeni?
«Era un ragazzo portato a capire in profondità le dinamiche delle realtà in cui gli è capitato di trovarsi nel suo percorso di studi. Parlava l’inglese, il francese e il tedesco come l’italiano, e aveva studiato l’arabo in Egitto: ci era già stato una prima volta e non aveva bisogno dell’interprete. Per lui potersi rapportare con le persone senza un intermediario linguistico era molto importante per capire le dinamiche del Paese dove si trovava. Aveva 20 anni, era il 2008, quando ha condotto uno studio sull’arabo moderno a Il Cairo, poi a Damasco, in Siria, ha studiato ancora l’arabo e ha fatto studi e ricerche su aspetti socioeconomici nel mondo arabo. A Cambridge ha esposto una laurea magistrale sui lavoratori egiziani e le politiche neoliberiste».

Un ricercatore in gamba, un giovane affascinato dai suoi studi.
«Giulio era affascinato, attratto da questo mondo. Era un accademico nel vero senso della parola, studiava temi specifici ma ci metteva anche del suo, voleva vivere negli ambienti che studiava, capire le dinamiche dei processi, questo lo aveva fatto anche quando studiava in Messico. La sua mente aperta verso altre culture è una prerogativa della sua famiglia, un paesino di pochi abitanti non può darti da solo questi valori».

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