Jesi-Fabriano

Jesi, Davide Zannotti (Hemingway Cafè) racconta il Covid: «Finalmente sono guarito»

L'imprenditore è stato diciotto giorni in ospedale al Carlo Urbani: «Ho pensato di non farcela. A medici, infermieri e oss dovrebbero dare un premio Nobel»

Davide Zannotti

JESI – «Finalmente oggi dopo 33 giorni sono guarito e torno Negativo». Davide Zannotti, titolare dell’Hemingway Cafè e promotore di molte rassegne culturali in città, è uscito dall’incubo Covid. Dopo 18 giorni di ospedale e 8 di casco.

«Mentre porti il casco cpap – racconta Zannotti – si pensa a molte cose passate, ma pensi anche di non farcela, te ne rendi proprio conto e quindi oggi il mio primo pensiero va a chi non ce l’ha fatta e alle sofferenze psicologiche che ha passato negli ultimi giorni. Poi ringrazio i reparti Covid 2 e 4 del Carlo Urbani, tutti quei medici, infermiere/i e oss che rischiando il contagio per sé e le proprie famiglie stoicamente danno cure, sostegno e affetto fondamentali a tutti i pazienti, dovrebbero dare un Premio Nobel simbolico per il loro lavoro». Quindi, i ringraziamenti: «Innanzitutto, il dott. Tonino Bernacconi, senza di lui forse non se sarei uscito, e tra gli altri: il dottor Spinaci, il dottor Braconi e la dottoressa Resedi».

Una vicenda, questa del Covid, che spinge Zannotti ad affrontare il tema dei locali chiusi. «Mi spiace per i professionisti detrattori della movida incapaci di pensare, ma il Covid l’ho preso in un ufficio pubblico lavorando ancora una volta per gli spettacoli estivi che da anni proponiamo in piazza – sostiene -. Anche in emergenza cerchiamo di lavorare per Jesi, cose che purtroppo non capiscono tutti. Ringrazio la mia famiglia che mi è stata vicino, Cristiana Cacciani anche lei compagna di avventura e di reparto in questa esperienza, e Antonio Zannotti , condottiero, unico negativo e al sicuro residente in altro luogo, fondamentale per il nostro sostentamento. Siamo tutti vivi questo è l’importante».

«La maggioranza dei contagi – è il parere di Zannotti – avviene in famiglia. In reparto c’erano interi gruppi familiari, gente che non va in un bar da mesi, è inaccettabile che ancora si parli di movida. Un decreto legge, a mio parere, andrebbe fatto per vietare contatti tra gruppi familiari. Inoltre, negli uffici andrebbero tenute le finestre sempre aperte. L’aria si satura in breve tempo e il rischio è che manco le mascherine servano a un certo punto. Mi auguro che sia il Cts a dire queste cose, non un barista».

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