Jesi-Fabriano

Gustoso e stimolante. Parola di direttore artistico

Il "Falso d'autore" è il tema della XVII edizione del Festival Pergolesi Spontini, (7 agosto - 17 settembre) e che lo stesso Vincenzo De Vivo definisce, «autenticamente ludico e falsamente intellettuale». La sua intervista

Il teatro Pergolesi di Jesi
Il teatro Pergolesi di Jesi

JESI – È stato direttore artistico della Fondazione Pergolesi Spontini dal 2001, anno di nascita dell’ente, fino al 2005, diventando poi consulente scientifico fino al 2011. Ma Vincenzo De Vivo, salernitano, classe 1957, ha diretto il Festival Pergolesi Spontini fin dagli esordi, inventando temi e percorsi intorno ai due grandi compositori. Un festival internazionale, nel nome dei due autori nati a pochi km di distanza, Jesi per Pergolesi e Maiolati per Spontini, fondato appunto dai due comuni ed ideato e coordinato dal 2001 da William Graziosi, attuale amministratore delegato della Fondazione. Dopo anni di lavoro con importanti istituzioni musicali, in Italia e all’estero, nel 2016 il M° De Vivo è ritornato a Jesi e ad un Festival da lui molto amato.

A breve prenderà il via la XVII edizione del Festival Pergolesi Spontini: trenta spettacoli, tra concerti, opere, letture e workshop, in otto luoghi d’arte delle Marche, da Jesi a Loreto, da Maiolati Spontini a Ostra, da Ancona a Apiro a Monsano a Serra de’ Conti. Il “Falso d’autore” è il tema del Festival, che lo stesso De Vivo definisce, «autenticamente ludico e falsamente intellettuale».
E da come lo racconta si preannuncia ardito, intrigante e curioso anche per chi sa poco di opera, spartiti e di autori d’altri tempi. Ma il “giallo” che aleggia intorno agli eventi non può che solleticare la curiosità. Già, perché non è «sempre vero – spiega De Vivo – quello che si racconta. Pensiamo a Giovanni Battista Pergolesi. Lo immaginiamo giovane e bello, perchè cosi si dice, ma…». Qui di seguito la sua intervista.

Vincenzo De Vivo, direttore artistico del Festival Pergolesi Spontini

Dunque, direttore, che cosa ci dobbiamo aspettare da questa edizione del Festival?
«Un Festival tematico e monografico, direi gustoso, sul tema appunto del falso. A cominciare dallo stesso Pergolesi. A lui sono state attribuite numerosissime opere e molti autori si sono impossessati di sue composizioni. Certo, era diverso nel Settecento il concetto del diritto d’autore, ma false attribuzioni, biografie immaginarie, “furti” più o meno volontari, ci sono sempre stati. Il giovane Pergolesi, poi, non era certo un bel ragazzo, come si era soliti credere… in una caricatura del Ghezzi, del 1730 circa, viene rappresentato per quello che era: con un naso piuttosto grande e una gamba più corta dell’altra. È grazie a lui che conosciamo le sue autentiche fattezze. Per ritornare ai falsi e alle composizioni, sappiamo che anche Bach aveva trasformato lo Stabat Mater da una liturgia cattolica ad una cantata protestante. E così via, il gioco continua nel tempo… Penso alla Chansons de Bilitis che nel 1894 Pierre Louÿs ha pubblicato come essere di una poetessa, Bilitis, del periodo di Saffo».

Fino ai nostri giorni?
«Certo. Il gioco continua. Penso al romanzo di Camilleri “Il colore del sole” dove si parla di un diario di Caravaggio ritrovato e che l’autore dichiara di aver avuto in mano in circostanze misteriose. Tema che tratteremo, con un’opera in prima esecuzione assoluta con la musica di Lucio Gregoretti, l’8 settembre. Ma i falsi possono avere anche risvolti politici, sociali, non solo letterari. Risvolti che hanno influenzato l’opinione pubblica come nel caso dei Protocolli dei Savi di Sion nel periodo della Germania di Hitler. Dunque, il gioco può anche diventare serio».

Dunque, un festival che punta a sorprendere?
«Nasce per incuriosire il pubblico. Abbiamo creato dei percorsi, tra concerti, opere, e letture, e messo in relazioni artisti e generi che possono dialogare insieme, suscitando curiosità per abbinamenti inaspettati. Jazz, circo, musica di tradizione orientale e mediterranea. Insomma, la nostra è stata una ricerca per trovare momenti di dialogo».

Direttore, tre aggettivi per definirlo?
«Gustoso, stimolante, autenticamente ludico e falsamente intellettuale».

Che cosa si aspetta che lo spettatore si porti a casa dopo aver assistito ad una rappresentazione?
«Porterà a casa la bellezza senza dover fare un grande sforzo!».

Direttore, com’è cambiato il Festival in questi anni?
«Di cambiamenti ce ne sono stati diversi. I primi anni, abbiamo fatto un grosso lavoro incentrato soprattutto ad accreditarci nella comunità musicale e diventare un punto di riferimento scientifico a livello internazionale sulle opere sia di Pergolesi sia di Spontini. Ma non abbiamo mai trascurato i caratteri di sorpresa e di divertimento, quell’aria festosa e di gioco che oggi più che mai caratterizza questo appuntamento. Cerchiamo sempre di lavorare per proporre cose inedite, e per offrire allo spettatore spettacoli di rara esecuzione».

E per il 2018? Già qualche idea?
«Siamo al lavoro, naturalmente. Posso annunciare che daremo spazio a Spontini e alle sue opere: soprattutto a quelle recuperate di recente in un castello in Belgio. Manoscritti che chiedono di rivedere la luce».

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