Jesi-Fabriano

Come cambierà la nostra vita dopo il Coronavirus? Il sociologo: «Sfiducia nell’altro e aumento della povertà»

Il periodo di quarantena, la paura dei contagi, il blocco delle attività hanno e avranno inevitabilmente conseguenze sia economiche che nelle relazioni sociali. Il dott. Vittorio Lannutti ipotizza i possibili scenari al termine del lockdown.

JESI- Non è ancora chiaro quanto dovremo restare a casa, di sicuro fin quando l’emergenza Coronavirus non allenterà la morsa permettendoci di ricominciare, gradualmente, ad uscire. Difficile pensare che la vita tornerà quella di prima, anzi, almeno per i primi mesi sarà praticamente impossibile.

Il periodo di quarantena, la paura dei contagi, il blocco delle attività hanno e avranno inevitabilmente conseguenze sia economiche che nelle relazioni sociali. Che cosa dobbiamo aspettarci al termine del lockdown? A risponderci è il sociologo Vittorio Lannutti, abruzzese d’origine ma jesino d’adozione, che ipotizza come cambierà la nostra vita dopo il Coronavirus.

«Alla luce degli studi fatti negli anni e di quello che sto vedendo finora, purtroppo non posso fare riflessioni troppo ottimiste. La mia principale preoccupazione è come cambieranno le relazioni tra le persone, soprattutto in termini di fiducia. Il nostro paese negli ultimi anni è diventato sempre più diffidente, sfiduciato rispetto alla classe politica e dirigente, nonché timoroso per il futuro, basti pensare ai grandi flussi di giovani emigranti andati alla ricerca di migliori opportunità lavorative all’estero. Con il Coronavirus tutto questo si accentua e quando finalmente potremo uscire di casa, almeno per i primi mesi ci sarà diffidenza. Mi avvicino ad un collega, ad un amico o ad un parente, posso stringergli la mano? Posso baciare questa persona?

vittorio lannutti
Il sociologo jesino Vittorio Lannutti

La seconda cosa che mi preoccupa moltissimo, e parlo anche in qualità di operatore psichiatrico, è il carico di lavoro che si avrà nei prossimi mesi nei dipartimenti di salute mentale in quanto ci sarà un’ondata di problematiche psicologiche importante. Ci sono situazioni familiari molto complesse e prima del Coronavirus, grazie ai servizi diurni e alle figure educative, si potevano tamponare, mediare, altre erano in fase di soluzione. Invece adesso queste persone stanno sempre a casa, a volte in condizione di convivenza forzata.

Altra preoccupazione sono le questioni economiche e sociali e le ricadute che avremo e che stiamo già avendo. Credo che aumenteranno le situazioni di povertà e che continuerà a rimetterci la classe media. L’Italia da più di 10 anni sta vivendo una crisi economica da cui non si è ancora ripresa e il Coronavirus ci sta dando una mazzata pazzesca. In questa circostanza sarà importante e strategico vedere come si muoverà l’Unione Europea. Spero che agisca in maniera razionale per cui sospenda il patto di stabilità in maniera definitiva – ciò non significa che non pagheremo i nostri debiti – e faccia, come ha detto la Von der Leyen, una cassa integrazione europea altrimenti la situazione degenererà in maniera imprevedibile e preoccupante».

Quindi, una volta che l’emergenza sanitaria sarà passata ci vorrà tempo per adattarci ai nuovi equilibri?
«Dobbiamo capire quanto ancora dovremo stare in questa situazione e come si assesteranno gli equilibri sociali. Le relazioni saranno condizionate dalla sfiducia nell’altro; guarderemo con diffidenza anche il vicino di casa con cui abbiamo sempre avuto ottimi rapporti, ci domanderemo se quella persona potrà infettarci e se noi potremo infettare lui. Temo che questa situazione durerà a lungo, almeno finché non arriverà il vaccino che dovrà coprire l’intera popolazione mondiale».

Il post Coronvirus avrà dei punti in comuni con il secondo dopoguerra in Italia?
«No, la situazione è differente perché nel dopoguerra c’era voglia di rinascita, di riabbracciarsi, di vedersi, di mettersi insieme e ricostruire. Quando finalmente potremo uscire di casa ci rimisureremo ma non per riabbracciarci perché non sappiamo chi abbiamo davanti e nemmeno per ricostruire. Che cosa andiamo a ricostruire se anche l’Ue non ci dà segnali? Ripartiremo da macerie sociali più che materiali».

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