Jesi-Fabriano

Choc in Vallesina dopo l’omicidio di Sirolo: il presunto killer cresciuto a Montecarotto, la comunità incredula

A Montecarotto chi conosce il presunto killer stenta a credere a quanto è tragicamente avvenuto

JESI – Ha avuto un’eco vastissima e dolorosa l’omicidio di domenica scorsa 27 agosto a Sirolo, in via Cilea, dove al culmine di una lite stradale il 23enne albanese Klajdi Bitri è stato ucciso con un colpo di fiocina al petto. Il suo presunto assassino, il 27enne algerino Fatah Malloul, dopo averlo colpito con quel fucile da sub che teneva in auto, si sarebbe allontanato per andare a pesca con la compagna, una ragazza jesina di 23 anni con cui convive in zona Prato a Jesi. A distanza di pochi giorni da quel terribile omicidio, la salma del povero Bitri è stata imbarcata per l’Albania grazie a una staffetta solidale per sostenere le spese della sepoltura nella sua terra d’origine; Malloul è in carcere a Montacuto con l’accusa pesantissima di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e due famiglie sono chiuse nel dolore.

Di Fatah Malloul si parla poco e malvolentieri, specie ora. «Da adolescente aveva combinato qualche guaio in paese, su a Montecarotto dove abitava con gli 8 fratelli e i genitori (ha altre due sorelle rimaste in Algeria) – dice un conoscente – ma piccole cose, detenzione di marijuana, qualche specchietto rotto o panchina vandalizzata insieme ad altri 5/6 ragazzi del paese, napoletani, congolesi e algerini che si spalleggiavano tra loro…difficile dire chi era il responsabile». Non una baby gang strutturata, ma piccoli bulli col vantaggio della minore età. «Esatto, un gruppetto di bulli che se la credono e rispondono strafottenti solo perché minorenni, ma da lì a pensare che sarebbe arrivato ad ammazzare un ragazzo per strada…assurdo!».

C’è sconcerto a Montecarotto, come a Jesi dove Fatah Malloul viveva e lavorava in una ditta di antincendi. «E’ un ragazzo che ha sempre lavorato, certo gli piacevano le belle auto, uscire e divertirsi ma ci sta alla sua età e comunque ha fatto anche lavori umili per spesarsi. Il padre è un grande lavoratore, faceva il camionista e ha sempre fatto tanti sacrifici per la famiglia, quando lasciata l’Algeria erano passati per la Francia prima di arrivare qui. Sarà distrutto adesso…». Nessuno dei suoi figli ha percepito il reddito di cittadinanza, il padre ha insistito affinché tutti lavorassero. «Gente umile, l’unico aiuto che hanno avuto quando sono arrivati a Montecarotto è stata la casa popolare, in centro, ovviamente troppo piccola per 10 persone ma non si sono mai lamentati». Fatah si è sempre rimboccato le maniche: 4 anni fa faceva il bracciante agricolo in una cooperativa agricola della Vallesina, poi ha lavorato come operaio in due aziende tra Montecarotto e Serra de’ Conti e infine in una ditta di antincendi a Jesi. Ha ottenuto la cittadinanza italiana ad aprile. Un ragazzo apparentemente come tanti, ma come scrive il Gip nella sua ordinanza di custodia cautelare in carcere «dall’indole vendicativa e ritorsiva», un «soggetto pericoloso che evidenzia una totale incapacità di contenere e gestire l’ira e la propria aggressività». Vive momenti drammatici anche la sua compagna, una 23enne jesina che dal giorno dell’omicidio sembra essere sparita, chiusa in un comprensibile dolore. Era insieme a Fatah quel pomeriggio maledetto, quando Bitri è stato colpito a morte, quando si sono allontanati per andare a pesca a Falconara con lo stesso arpione usato per commettere il delitto e quando, poche ore dopo, i Carabinieri di Osimo lo hanno immobilizzato davanti ai suoi occhi. La giovane non risulta indagata al momento ma i contorni di questa terribile vicenda non sono stati ancora tutti delineati e gli inquirenti stanno ancora lavorando.

© riproduzione riservata