Jesi-Fabriano

Arte, a Palazzo Bisaccioni di Jesi l’antologica di Ennio Tamburi

Dal 14 ottobre al 29 gennaio la città natale dell'artista ospita un’ampia selezione di opere rappresentative della ricerca pittorica di uno degli interpreti più raffinati dello scenario artistico italiano del Novecento

Ennio Tamburi, _Rosso vivo, nero, rosso inglese. 2010. Tempera su carta India dipinta, 160x180 cm, (6 fogli)

Venerdì 14 ottobre ore 18 nelle sale museali di Palazzo Bisaccioni di Jesi si inaugura la mostra antologica di Ennio Tamburi (Jesi, 1936 – Roma, 2018) dal titolo “Mappe di luoghi impossibili”, a cura di Roberto Lacarbonara e con il patrocinio della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi.

A dieci anni di distanza dalla grande personale “Semplice. Complesso”, tenutasi nella Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, la città natale dell’artista ospita fino al 29 gennaio un’ampia selezione di opere realizzate tra il 1993 e il 2011. Si tratta di un ‘corpus’ rappresentativo della ricerca pittorica di uno degli interpreti più raffinati dello scenario artistico italiano del Novecento, molto attivo nella scena romana fin dagli altri ’50, come pure tra parigi e Zurigo. In esposizione, sono gli acquerelli e le tempere da lui stesso scelti nel 2012 per la retrospettiva romana, punto apicale di una carriera dedicata allo studio del segno e dello spazio

L’artista Ennio Tamburi (Jesi 1936 – Roma 2018)

In queste opere – si legge in una nota – “l’organizzazione del dipinto serve a ricompattare aree omogenee e organizzate, radunando segni come fossero case o insediamenti di una città infinita, in una idea di spazio regolare ma non matematico. La scelta di esibire le opere su carta, senza supporti né cornici, risponde all’esigenza di non chiudere discorsi e pratiche pittoriche: una sorta di scrittura interminabile”. 

Secondo il curatore, Roberto Lacarbonara, “per artisti come Tamburi – o come Griffa, come Novelli, come Twombly, tra gli accostamenti più fedeli e ricorrenti nella critica – accanto a un segno c’è sempre un altro segno per effetto di espansione, di libertà, di indefinitezza. La scena informale della Roma anni Sessanta resta viva nell’impasto di colore e materia in questi interpreti dello spazio sempre auratico dell’opera. Uno spazio che Tamburi intende come “campo”, secondo molteplici declinazioni. Campo di battaglia, nei primi agglomerati di puntini “schierati, compatti, pronti a colpire” che attrezzavano le carte degli anni Novanta. Campo energetico, quantico, “predimensionale” nei fogli sciolti e radunati in coppie e gruppi a partire dagli anni Duemila”. 

In esposizione i numerosi polittici realizzati con l’accostamento di preziose carte artigianali tibetane, giapponesi, indiane e nepalesi che l’artista sceglieva con meticolosa attenzione. In alcuni casi la carta è ridipinta, in altri lasciata integralmente “al naturale” in modo che il supporto riveli la sua trama, la sua corposità o leggerezza, creando un contrappunto con le immagini. I lavori si contraddistinguono anche per l’uso di colori pastello che entrano armonicamente in relazione con lo sfondo delle carte. Quadri come “pagine” disposte per effetto di una dilatazione fluida della pellicola pittorica, ma al contempo caratterizzate dalla composizione geometrica e rigorosa degli agglomerati di punti ritmati in superficie.

La mostra sarà visitabile, con ingresso libero, dal lunedì alla domenica, festivi inclusi, con orario 9.30-13, 15.30-19.30. 

Ennio Tamburi, Rosso inglese, nero, 2005. Tempera su carta Nepal verde smeraldo, 80×60 cm, (1 foglio)

Ennio Tamburi nasce a Jesi il 9 settembre 1936. Si trasferisce a Roma dove inizia la sua attività negli anni ’50, soggiornando frequentemente a Parigi e avvicinandosi all’Informale. In questi anni riceve numerosi riconoscimenti come il Premio Arezzo, il Maggio di Bari, il Premio Prato, il Premio Incontri d’Arte di Bologna e quello della Quadriennale di Roma. Intorno agli anni ’60 comincia a rivolgere la propria attenzione all’Arte Concettuale, incentrando la propria ricerca sull’oggetto e sulla scultura, utilizzando principalmente lamiera solfatata e neon, ma anche sulla fotografia e sull’architettura.

Espone in numerose mostre collettive e personali: Galleria il Punto, Torino 1973; Festival dei Due Mondi, Spoleto 1970; Biennale di Venezia, 1975; Palazzo dei Diamanti, Ferrara 1975; Galleria Due Mondi, Roma 1976; Galleria d’Arte Moderna, Arezzo 1976; Galleria La Tartaruga, Roma 1976; Kunsthalle, Kôln e Düsseldorf 1977.

Gli anni ’80 determinano una svolta definitiva per Tamburi, sia per quanto riguarda la sua poetica che per le tecniche utilizzate. Si trasferisce in Svizzera dove opera accanto alle istanze dell’Arte Concreta. Durante un viaggio in Asia scopre e inizia a utilizzare le carte pregiate lavorate a mano provenienti dal Tibet, dal Nepal, dalla Cina, dall’India e dal Giappone. Fondamentali i viaggi in Giappone e in Birmania, luoghi in cui approfondisce ulteriormente lo studio delle tecniche di produzione della carta, medium attraverso cui, con acquerelli e tempere, Tamburi realizza i lavori degli anni successivi.

Negli anni ’80, ’90 e 2000, espone in molte città italiane ed europee: Galleria Salomon, Parigi 1980; Galerie Mark, Parigi 1982; Fortezza Trecentesca, Montalcino 1987; Temple University Roma e Philadelphia 1990; Galleria del ‘500, Siena 1992; The Blaxland Gallery, New South Wales, Sidney 1992; Kunsthaus Richterswil, Zurigo 1998; Centro di Studi Italiani, Zurigo 1999; Die Halle, Zurigo 2000; Gallerie Anton Meier, Ginevra 2003; Fondation Sur-La-Velle, Ancienne Eglise du Noirmont, Svizzera 2004; L.I. ART, Roma 2005; Biblioteca Casanatense, Roma 2006; Lazertis Galerie, Zurigo 2007; Museo del Convento di San Giovanni, Müstair 2009; Fabriano Space, Milano 2008.

All’attività di pittore affianca quella di scenografo e disegnatore collaborando alla scenografia di film di Luchino Visconti e Roman Polanski, disegnando manifesti per gli spettacoli teatrali di Giorgio Strehler e Luca Ronconi.

Nel 2012 la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma gli dedica una grande retrospettiva.

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